Anche la Lombardia oggi, nella Giornata nazionale delle vittime innocenti di mafia, ricorda uomini e donne uccisi dalla violenza delle organizzazioni criminali. Tra questi c’è anche Piero Carpita, il portinaio di Bresso che si è trovato per caso in un agguato di mafia il pomeriggio del 15 settembre 1990. “Per anni non ho raccontato la storia di mio padre: ero convinta che aveva avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma la verità è che di sbagliato ci sono solo le organizzazioni criminali. Erano camorra e ‘ndrangheta a non doverci essere quel pomeriggio”, ricorda a Fanpage.it la figlia Emanuela Carpita.
Anche la Lombardia ha le sue vittime di mafia. Eppure qui vince ancora lo stereotipo che l’organizzazione criminale non spara, non sparge sangue: perché dopotutto è comodo pensare che se la mafia non fa stragi allora vuol dire che non c’è. Nulla di più falso: anche la Lombardia piangere i suoi morti di ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. Per averne la prova basta scorrere la lista delle oltre 1.031 vittime innocenti di mafia per trovare i nomi di Piero Carpita, Luigi Racalcati, Pietro Sanua e Cristina Mazzotti. E ancora: Giorgio Ambrosoli, Lea Garofalo, Luisa Fantasia, Carlo La Catena, Alessandro Ferrari, Driss Moussafir, Sergio Pasotto e Stefano Picerno. Tutte vite spezzate in Lombardia dalla violenza delle organizzazioni criminali: chi ucciso perché ritenuto uno ostacolo agli affari illegali, come Pietro Sanua e Giorgio Ambrosoli. Chi rapita e usata come oggetto di riscatto, come la giovane Cristina Mazzotti, e chi uccisa per vendetta, come Luisa Fantasia. Chi con le sue testimonianze aveva svelato tutti i segreti di famiglia e quindi per la ‘ndrangheta andava messa a tacere, come Lea Garofalo. Chi in quel 27 luglio del 1993 è stato vittima della strage di via Palestro a Milano, come Carlo La Catena, Alessandro Ferrari, Driss Moussafir, Sergio Pasotto, Stefano Picerno.
Il duplice omicidio del 15 settembre 1990
E poi c’è la storia di Piero Carpita e Luigi Recalcati, due uomini, il primo di 46 anni e il secondo di 70 anni, uccisi il 15 settembre del 1990 perché, per caso, si sono trovati sulla traiettoria dei proiettili sparati da alcuni camorristi e indirizzati ad alcuni ‘ndranghetisti. Siamo a Bresso, alle porte di Milano. Era un sabato pomeriggio e Piero Carpita aveva appena staccato dal lavoro, era il portinaio in un palazzo. Come era sua abitudine prima di tornare a casa dalla moglie Maria e dalle figlie Emanuela e Simona è passato a salutare gli amici in un bar poco distante, il locale a fianco a quello di un barbiere. Nonché il barbiere di fiducia di Franco Coco Trovato, uno dei boss di ‘ndrangheta che in Lombardia ha gestito il traffico di droga nel quartiere Comasina e gli affari dell’organizzazione criminale a Lecco. Ma a contendersi la piazza di spaccio nel quartiere milanese non c’era solo la ‘ndrangheta dei Flachi e Trovato, ma anche il clan di camorra di Salvatore Batti.
Ed è proprio la camorra a decidere di liberarsi di Franco Coco Trovato e di ucciderlo quel pomeriggio una volta uscito dal barbiere. Il resto è questione di pochi secondi: nello stesso momento che Trovato è uscito dal negozio esce anche Piero Carpita dal bar e passa in sella alla sua bicicletta Luigi Recalcati. “Non ricordo molto di quel giorno – racconta Emanuela, figlia di Piero Carpita, a Fanpage.it -. Avevo appena 4 anni, mia sorella 7. Nel tempo sono venuta a sapere che a sparare erano stati probabilmente dei ragazzini, quelli che arruola la camorra. Hanno sparato a raffica da distanza, senza veramente prendere la mira. Così alla fine i proiettili hanno colpito mio padre e Luigi Recalcati e non Franco Coco Trovato”. Piero ferito ha cercato di rientrare nel bar. I suoi amici lo hanno subito soccorso, ma invano: è morto pochi minuti dopo nel locale. “Mia madre è corsa da mio padre, ma era troppo tardi. È rimasta vedova a 36 anni, quel giorno è come se fosse morta anche una parte di lei”. Da allora non è mai iniziato un processo per risalire agli assassini di Carpita e Recalcati, ma qualche mesi più tardi, il 23 dicembre del 1990, Salvatore Batti venne ucciso nel Napoletano, dove era fuggito: rimase vittima del tradimento di un amico. Franco Coco Trovato finì in manette nell’operazione “Wall Street” della Direzione Distrettuale Antimafia del 1994: “Nelle carte dell’operazione i magistrati hanno riconosciuto mio padre vittima innocente di mafia”, precisa Emanuela. Mentre non si risalì mai all’identità dei ragazzini che spararono.
Dal 2016 Piero Carpita nella lista delle vittime innocenti di mafia
“Per anni sono caduta nella convinzione che mio padre si fosse trovato nel momento sbagliato nel posto sbagliato. Eppure non era così”, continua a spiegare Emanuela. “L’ho capito dopo che nel 2016 sono entrata in contatto con l’associazione Libera. Mi hanno fatto capire che mio padre doveva essere ricordato. Che quel pomeriggio del 1990 non era mio padre a trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma erano le organizzazioni criminali a non doverci essere”. E poi aggiunge: “Con il tempo ho capito che non esistono vittime innocenti di mafia di serie a e di serie b: mio padre non era un magistrato, ma la sua vita non valeva meno di un’altra”.
A Bresso una targa ricorda Piero Carpita e Luigi Recalcati. A loro è intitolato anche il presidio di Libera Morbegno, in provincia di Sondrio. Dal 2016 sono tra i nomi che ogni 21 marzo nelle piazze di Libera di tutta Italia si leggono ad alta voce. Oggi queste piazze piene non ci saranno, ma quei nomi verranno sempre ricordati. Soprattutto in Lombardia, dove una volta per tutte deve cadere il muro dell’omertà. Giorgia Venturini, Fanpage