L’ex calciatore ammette i 100 mila euro a un imputato: era un prestito. Ma la microspia registra il dialogo tra i criminali: gli prendono l’azienda
«E che gli doveva dire? Che gli hanno fatto un’estorsione? Che poi lo ammazzavano. Che campava ancora a Carmagnola? L’azienda non gliela prendevano?» Il soldato della ‘ndrangheta Francesco Viterbo sta sorseggiando un caffè insieme a un amico allo Stadium Cafè in via Druento a Torino. È il 25 ottobre del 2019, ore 14,30.
La prima tranche di arresti contro le cosche vibonesi infiltrate nella cintura sud di Torino è avvenuta. Ne arriverà una seconda che coinvolgerà anche lui. Ma prima di essere svegliato all’alba dai finanzieri del Gico per essere portato in carcere, Viterbo commenta la questione relativa alla presunta estorsione ai danni dell’ex campione di Torino e Milan Gianluigi Lentini. Una microspia ambientale registra tutto. Fa riferimento a un articolo di giornale in cui viene riportato in sintesi il contenuto dell’interrogatorio che l’ex calciatore ha sostenuto in procura davanti ai pm Paolo Toso e Monica Abbatecola. Colpisce la fedele riproposizione del verbale. «Gli ha detto: ma quale estorsione? Gli ho dato 100 mila euro per un affare e poi mi sono pentito il giorno dopo, però glieli ho dati, via! Li conosco bene – bene gli Arone. A me non hanno mai fatto nulla» racconta, ripetendo esattamente all’amico le parole di Lentini di fronte ai magistrati. E però poi chiosa in maniera diretta: «Gli ha dato 100 mila euro a Franco Arone». Ora va spiegato che Franco e Salvatore Arone, fratelli di sangue in tutti i sensi, sono considerati i vertici dell’omonima ‘ndrina. Potenti, cinici, lucidissimi nel cucire trame criminali, sono considerati – soprattutto Salvatore, detto “Turi” – elementi di altissimo livello dell’organizzazione mafiosa.
Il giudice ripercorre i dialoghi intercettati: «Viterbo ha affermato che Lentini non avrebbe potuto comportarsi in maniera differente in quanto se avesse ammesso di essere vittima di estorsione da parte del sodalizio, avrebbe rischiato di essere ammazzato innanzitutto, non avrebbe potuto più vivere a Carmagnola, avrebbe perso la sua azienda evidentemente a vantaggio dell’organizzazione mafiosa». Resta da dire che Viterbo è in rapporti con Franco Arone, lo conosce bene. Ci sono molti contatti tra i due agli atti dell’inchiesta. Sempre possibile, ma improbabile che parli a sproposito. Sullo sfondo c’è la recente deposizione di Lentini di fronte al collegio di giudici nel processo che si sta celebrando con rito ordinario. Al presidente Alberto Giannone, ha detto che non ha mai subito estorsioni. «Con Alessandro Longo eravamo amici, ma non così tanto da prestargli centomila euro. Glieli diedi, perché sono fatto così. Ma oggi non lo rifarei più, né con lui né con altri. Longo e la sua compagna – mi avevano detto che dovevano comprare delle macchine dalla Germania per aprire una concessionaria. Io sono un generoso e presto i soldi. Non so che cosa fecero col denaro. Non chiesi conto». La cifra è stata restituita a Lentini, ma solo dopo l’ampia pubblicità data dai giornali alla vicenda. Spetterà ora alla Corte di Torino valutare se esistono o meno gli estremi di un reato, ovvero false dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Giuseppe Legato, La Stampa