Continuano al processo Carminius le dichiarazioni scottanti di Zito, pentito due volte
Continuano le dichiarazioni “scottanti” del pentito Ignazio Zito al processo in aula bunker contro le cosche di Carmagnola. Dopo aver raccontato di essere diventato collaboratore di giustizia per paura che ci fosse un altro caso “Falcone”, visto che doveva trasportare bombe a mano che sarebbero servite ad uccidere in Piemonte “una persona importante”, “uno che camminava sotto scorta”, come avevano stabilito “sia Cosa Nostra che la ‘Ndrangheta” unite in un patto scellerato, Zito ha parlato della pratica del pizzo che sarebbe stato pagato da quasi tutti i commercianti a Carmagnola, dal supermercato al tabaccaio.
Tra le persone costrette a sborsare soldi per evitare guai alla propria attività, ci sarebbero stati, secondo il suo racconto, anche due ex calciatori del Toro: Gianluigi Lentini, che gestiva un ristorante pizzeria, e Marco Ferrante, titolare di un centro sportivo. Ferrante, secondo il racconto del collaboratore di giustizia, avrebbe pagato “2 mila euro al mese”. Lui stesso, in un paio di occasioni, avrebbe accompagnato il genero (che era affiliato), a riscuotere il denaro, che sarebbe andato sia a Antonino Buono che ai fratelli Arone. “Una volta l’appuntamento è stato a Torino, vicino a una caserma dei vigili del Fuoco” ha spiegato, senza specificare però il luogo preciso. Dichiarazioni prese con grande cautela dalle parti.
Entrambi gli ex calciatori avevano smentito di aver mai pagato nulla o di essere stati vittime di estorsioni. Lentini, ascoltano in aula a fine gennaio, aveva anche negato di aver dato per questo 100 mila euro ad Alessandro Longo, uno degli arrestati con l’accusa di appartenere alla ‘ndrangheta: “nessuna estorsione, quei soldi erano soltanto un prestito”. Zito è stato controinterrogato a lungo dagli avvocati difensori, in particolare da Cosimo Palumbo che assiste Antonino Buono, considerato uno dei referenti di Cosa Nostra a Carmagnola, facendo emergere diverse incongruenze nelle dichiarazioni rese sia in indagini preliminari che in aula.
Quella di Zito del resto è una collaborazione “travagliata” con la giustizia visto che lui si era già pentito in passato, era entrato nel programma di protezione dal 1997 al 2012, per poi chiedere di uscire con una capitalizzazione di 100 mila euro. Avrebbe invece ricevuto una somma compresa tra i 12 mila e i 20 mila euro. Ma, secondo il suo racconto, sarebbe andato a vivere a Vicenza e avrebbe mantenuto ” buoni rapporti” con alcune famiglie di Cosa Nostra, in particolare con esponenti dei Gambino, dei Santapaola, e dei Madonia, rapporti continuati anche dopo il suo trasferimento a Carmagnola, dove avrebbe continuato a commettere reati. Fino a quando la paura di essere coinvolto in un attentato a una persona importante, l’ha portato a riconsegnarsi alla giustizia. Sarah Martinenghi, Repubblica