Non ci sono solo le corruzioni nell’ultima storia di tangenti messa nero su bianco dalla Dda. A inquinare gli appalti c’era un gruppo di impresari che con patti di desistenza e spartizione seguivano l’orientamento riportato in una intercettazione dell’imprenditore il cui nome era emerso nell’indagine Infinito e in altre indagini antimafia: “Ognuno si guarda poi il suo lotto”. Gli investigatori stanno facendo accertamenti “su un’altra decina di situazioni”
Accordi, tradimenti, manovre e l’ombra della ‘ndrangheta. Non ci sono solo le corruzioni nell’ultima storia di tangenti messa nero su bianco dalla Dda di Milano. A “inquinare” (o tentare di farlo) gli appalti c’era un vero e proprio cartello di imprenditori: una cinquantina in totale quelli sotto indagine da parte dei pm Antimafia guidati da Alessandra Dolci. Per l’accusa con patti di desistenza e spartizione seguivano (anche se non tutti) l’orientamento riportato in una intercettazione dell’imprenditore il cui nome era emerso nell’indagine Infinito e in altre indagini antimafia, Renato Napoli: “… Che ognuno si guarda poi il suo lotto…”. E agli atti dell’inchiesta c’è anche una foto che certifica il patto: gli imprenditori che il 21 luglio 2017, con il coordinamento di Napoli, si incontrano e decidono come e cosa spartirsi. L’appuntamento, intorno alle 17, è in piazza Kennedy a Milano. A osservare e documentare l’incontro ci sono i carabinieri di Monza. Dalle intercettazioni si capirà che poi che quello non era il primo incontro.
Non solo la pulizia della neve e il teleriscaldamento
Due gli appalti al centro delle contestazioni della procura. Il primo è il servizio di pulizia dalla neve di Milano e altri comuni per il periodo 2017-2021 del valore di quasi 4 milioni e 800mila euro. Il secondo è il bando per il teleriscaldamento dell’A2a per un valore di 5 milioni. Nel primo caso il pm Antonio Scudieri ha spiegato: “Abbiamo accertato la presenza di una ventina di aziende che con guida di Renato Napoli sono riuscite a spartirsi i lotti. Il secondo è il bando per il teleriscaldamento dell’A2a, uno dei vari bandi che ha fatto A2a. Un accordo fallito perché uno degli imprenditori si è tirato indietro e ognuno è andato per i fatti propri“. Ma gli accertamenti degli inquirenti non si fermano alle due contestazioni perché è emersa “una diffusa e inquietante situazione di inquinamento degli appalti pubblici nel milanese” e gli investigatori stanno facendo accertamenti “su un’altra decina di situazioni, che coinvolgono tutte le principali aziende municipalizzate pubbliche del territorio lombardo, quindi non soltanto Amsa, ma anche A2a, Metropolitana milanese e altre aziende pubbliche. Quello che emerge è che gli imprenditori tendenzialmente si spartiscono i lotti. Si mettono d’accordo, cercano di ottenere informazioni da insider interni a queste società pubbliche per sapere chi sono gli altri partecipanti alle gare e quando c’è la possibilità di dividersi i lotti, pianificano con offerte al ribasso reciproche per potersi spartire le gare“.
La cordata degli imprenditori e gli appalti conquistati o persi
Napoli, che è a capo di società (Simedil ed Edilnapoli) che si occupano di lavori edilizi, movimento terra, trasporto di inerti, realizzazione di gasdotti, acquedotti fognature, per il giudice per le indagini preliminari “è il promotore e animatore delle due vicende di turbativa d’asta … un soggetto che non si fa alcuno scrupolo nel condizionare le gare d’appalto mediante la concertazione, tenacemente cercata, con i concorrenti, a tal fine approfittando di rapporti privilegiati con soggetti qualificati interni alle aziende pubbliche”. Ma allo stesso tempo quasi tutti gli altri imprenditori contattati si prestano a questo concerto e – anche se c’è chi si tira indietro o addirittura tradisce, approfittando delle informazioni ricevute per partecipare alla gara per vincerla – c’è anche chi pur non partecipando agli incontri chiede di essere messo nella lista della spartizione.
Alla fine come riassume il giudice “le imprese facenti parte della cordata riconducibile all’indagato Napoli si sono aggiudicate complessivamente 16 lotti su 46 effettivamente assegnati (4 sono andati deserti), e ciò a non voler contare il numero di lotti aggiudicati alla cordata Malacrida (totale 16 lotti), il quale, sfruttando le informazioni ottenute da Napoli (la lista a cui si fa riferimento nel corso delle intercettazioni) ha fatto man bassa delle aggiudicazioni, avvalendosi comunque indirettamente della collusione avente come effetto la turbativa di gara. L’aggiudicazione di un così rilevante numero di lotti da parte delle aziende partecipanti al cartello promosso da Napoli è stata possibile proprio in quanto le stesse si erano accordate per concorrere solo per alcuni specifici lotti, senza quindi competere tra loro; tanto è vero che i lotti persi sono quelli nei quali hanno concorso ditte che non sono state contattate… o che si sono rifiutate di partecipare al cartello…”.
Il gip: “Territorio pesantemente pervaso da criminalità organizzata”
Napoli però non è imprenditore qualsiasi. Come l’altro imprenditore protagonista di questa vicenda Daniele D’Alfonso (cui è contestata l’aggravante mafiosa) “ha rapporti con l’azienda di Giuseppe Molluso (della famiglia calabrese operativa tra Corsico e Buccinasco, ndr), a dimostrazione – scrive il gip di Milano Raffaella Mascarino – che il contesto nel quale operano i due imprenditori è tendenzialmente lo stesso, a cavallo tra la criminalità d’impresa e quella organizzata”. In un territorio ragiona il gip “pesantemente pervaso dalla criminalità organizzata di stampo mafioso, in quanto, nella regione lombarda, la materia degli appalti pubblici, soprattutto nei settori dell’edilizia, della movimentazione terra, del trattamento dei rifiuti e della gestione dell’ambiente in generale, costituiscono uno dei settori d’elezione in cui le diverse imprese gestite dalle varie famiglie di ’ndrangheta hanno in passato avuto modo di affondare le proprie radici e di trarre dalle risorse connesse a tali lavori pubblici linfa vitale per il loro persistere e prosperare su vaste aree del territorio. Queste acquisizioni possono dirsi assodate alla luce di accertamenti processuali ormai suggellati dal passaggio in giudicato delle sentenze di condanna nell’ambito di indagini che costituiscono i capisaldi della ricostruzione del fenomeno mafioso nell’Italia settentrionale”. Un fenomeno che non sempre ha visto gli imprenditori opporsi. Anzi: “Facendo una riflessione sulle figure imprenditoriali di cui mi sono occupata in questi anni alla Dda – dice Alessandra Dolci – posso dire che otto di loro erano collusi, mentre solo due di loro erano vittime“. Giovanna Trinchella, ilfattoquotidiano.it