Dopo l’annullamento del secondo grado di giudizio della Cassazione ecco il nuovo pronunciamento
Intestazione fittizia di beni per riuscire ad eludere le misure di prevenzione: è questo il reato per il quale la corte d’appello di Genova ha confermato la condanna a carico dei fratelli Pietro, Donato e Francesco Fotia, insieme al loro nipote Giuseppe Criaco.
Nell’ottobre del 2017 i fratelli Pietro, Donato e Francesco Fotia, e con loro il nipote Giuseppe Criaco, erano stati condannati al termine di un rito abbreviato celebrato in tribunale a Savona, davanti al giudice Francesco Meloni. Una sentenza che era stata poi completamente ribaltata in corte d’appello a Genova dove tutti e quattro gli imputati erano stati assolti “perché il fatto non sussiste”.
Successivamente era stato depositato il ricorso presso la Corte di Cassazione: quest’ultima, il 9 ottobre del 2019, aveva disposto un nuovo processo presso la stessa corte d’appello, che questa mattina si è pronunciata, confermando, quindi, la condanna emessa in primo grado dal Gup del Tribunale di Savona: Pietro Fotia era stato condannato a ventidue mesi di reclusione, mentre gli altri imputati a venti mesi di reclusione con la concessione della sospensione condizionale della pena.
Dunque la corte di appello, nel procedimento-bis, ha accolto l’impianto accusatorio della Procura di Savona: i fratelli Fotia, titolari della Scavoter, avrebbero costituito nel corso di pochi anni le società P.d.f. e Se.le.ni. s.r.l., quest’ultima poi interamente ceduta a Criaco e Casanova (che detenevano rispettivamente il 95 ed il 5% delle quote societarie e sarebbero stati quindi dei prestanome) per eludere le misure di prevenzione e per sviare la Prefettura di Savona che aveva interdetto l’aggiudicazione di nuovi appalti pubblici proprio alla Scavoter.
Quello dell’intestazione fittizia di beni è uno dei filoni processuali e di indagine che hanno coinvolto il fratelli Fotia e il gruppo della Scavoter. Ivg.it