Un noto imprenditore edile crotonese da tempo residente a Reggio Emilia si era intestato immobili, imprese, auto, terreni e conti correnti riconducibili alla cosca
La polizia e la Guardia di Finanza, a circa 6 anni dalla conclusione dell’operazione “Aemilia”, hanno inferto un altro colpo alla cosca.
Le inchieste giudiziarie hanno già dimostrato la capacità della ‘ndrangheta emiliana, oltre che di infiltrare l’economia nazionale ed estera, di operare un sistematico ricorso allo strumento dell’intestazione fittizia dei beni, provento dei reati, per eludere i provvedimenti in materia di sequestri. E’ in questo contesto che si inquadra l’attività eseguita nei confronti di un 43enne, noto imprenditore edile, originario di Crotone, ma residente da tempo in Reggio Emilia.
Al calabrese è stata notificata la misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dei beni, proposta dal Questore di Reggio Emilia Giuseppe Ferrari e avallata dal Tribunale di Bologna, riferita a 9 immobili, ubicati in provincia di Reggio Emilia, terreni annessi, ditte operanti nel settore dell’edilizia, conti correnti e autovetture, per un valore che supera un milione di euro.
Le indagini patrimoniali della polizia e della Guardia di Finanza hanno dimostrato come il soggetto avesse fittiziamente intestato, a se stesso e ad altre persone compiacenti, beni riconducibili alla cosca, portando avanti, nell’interesse del sodalizio, anche attività imprenditoriali.
In un solo conto corrente gli inquirenti hanno sequestrato 120.000 euro
La Divisione Anticrimine della Questura di Reggio Emilia, con il prezioso supporto della Guardia di Finanza ha impiegato circa 7 mesi ad effettuare mirate e complesse indagini, che hanno interessato le vicende giudiziarie e l’analisi patrimoniale del crotonese, ricostruendo 22 anni di vita dello stesso e dei familiari e dimostrando che i redditi percepiti dalle attività lecite non erano in alcun modo sufficienti a giustificare il tenore di vita e le proprietà acquisite nel corso degli anni.
Sono state analizzate con scrupolo anche le numerose transazioni bancarie, al fine di discernere, da quelle rientranti nella normale dinamica imprenditoriale, quelle che invece avevano come scopo reale lo storno di cifre e l’acquisto di proprietà per conto di alcuni esponenti della cosca.
Le investigazioni hanno preso avvio dallo spunto offerto dall’indagine “Aemilia”, nella quale il soggetto era stato condannato proprio per il reato di intestazione fittizia di beni, avendo fornito a due sodali della consorteria emiliana, imprenditori attivi nel reggiano, poi tratti in arresto e condannati anche di recente dalla corte di Appello di Bologna, uno “schermo” protettivo per evitare che alcuni beni fossero loro riconducibili e quindi potenzialmente aggredibili dai provvedimenti giudiziari.
Le indagini patrimoniali hanno però permesso di documentare che il contributo consapevole del 43enne alla ‘ndrangheta era continuato anche in anni piu’ recenti e riguardava altri beni, oltre quelli individuati in “Aemilia”.
Per quanto riscontrato, l’uomo aveva cercato di portare avanti anche alcune attività imprenditoriali dei menzionati vertici della cosca, di cui è peraltro stretto congiunto, occupandosi di curare in prima persona specifici interessi dello stesso (per esempio pagare le parcelle degli avvocati difensori).
Inoltre, e sempre al fine di creare quante piu’ barriere possibili nella riconducibilità delle proprietà, il soggetto aveva anche alienato, a compiacenti prestanome, un appartamento, attraverso un atto di compravendita, la cui causa giuridica è stata ritenuta dagli inquirenti fittizia la Gazzetta di Reggio