Il pm Forte ha ricostruito nella maxi inchiesta un flusso di denaro da 240 milioni di euro legato alle false fatturazioni
Ormai le inchieste non si contano più e “dipingono” il Reggiano come una vera e propria “fabbrica” delle false fatture.
Un fenomeno finanziario illegale milionario su cui sta indagando da tempo il sostituto procuratore Giacomo Forte che ora cala l’asso dell’inchiesta più mastodontica su questo filone, chiedendo il rinvio a giudizio per 193 persone. Fra un mese l’affollatissima udienza preliminare davanti al gup Andrea Rat, con una “montagna” da scalare fatta di diversi reati di natura tributaria, per non parlare dell’associazione a delinquere, di riciclaggio di soldi (pure all’estero), autoriciclaggio e bancarotta fraudolenta. Un imponente impianto accusatorio, costruito su oltre trecento capi d’imputazione.
Rispetto a quando è esplosa questa maxi inchiesta, cioè nel settembre dell’anno scorso, il numero delle persone finite nel mirino del pm Forte si è ristretto ma non di molto (da 201 a 193) sulla scia di alcune situazioni: un indagato è morto, c’è chi ha patteggiato in fase di indagini, vi sono state delle archiviazioni.
Il 23 settembre 2020 siamo ancora nel cuore della notte (circa le 4) quando gli inquirenti entrano in diverse abitazioni per notificare provvedimenti restrittivi, effettuare perquisizioni, sequestrare beni.
Un’operazione battezzata Billions che scuote la nostra provincia e non solo, con 250 uomini – fra polizia e guardia di finanza, coordinati dal pm Forte – impegnati contro un’associazione a delinquere che secondo gli investigatori offriva servizi finanziari illeciti.
E spuntava persino un nome (il 53enne Vincenzo Vasapollo) legato ai fatti di sangue in odore di ’ndrangheta di fine anni Novanta che sconvolsero Reggio Emilia.
Raggiunto dai provvedimenti restrittivi il nucleo-chiave – dalla forte componente calabrese – che per gli investigatori movimentava fiumi di denaro (stimato in 240 milioni di euro, di cui 50 milioni di euro sarebbero stati prelevati come denaro contante da bancomat e filiali di istituti di credito).
E viene descritta un’organizzazione vasta, potente, molto ben strutturata: suddivisa in una decina di “cellule” (fra cui una reggiana e una radicata nel Mantovano), con agganci ’ndranghetisti, come rimarca chi ha indagato, puntualizzando però che l’aggravante mafiosa non è stata contestata.
Gli investigatori hanno messo sotto controllo i telefoni degli indagati, effettuato intercettazioni telefoniche ed ambientali, oltre a servizi di osservazione e pedinamenti, tracciando gli ingenti flussi finanziari e approfondendo anche le segnalazioni per operazioni sospette effettuate dalle banche. Le perquisizioni hanno fruttato sequestri per circa mezzo milione di euro (di cui 267mila euro in contanti). Ed è stato pure accertato che alcune delle persone coinvolte nella maxi inchiesta risultavano beneficiari di reddito o pensione di cittadinanza «con avvenuta erogazione complessivamente di oltre 80mila euro». Tiziano Soresina, La Gazzetta di Reggio