Reggio Emilia, a rivelarlo l’amministratrice del patrimonio sequestrato ai fratelli. Sentito il giornalista preso a sassate da Grande Aracri
Le case al mare sono uno snodo per le vicende di ’ndrangheta legate alla cosca Grande Aracri. A pochi passi dal paese natale di Francesco Grande Aracri – reggente della cosca a Brescello e ieri collegato durante l’udienza del processo Grimilde che lo vede imputato per associazione mafiosa – c’è il paesino di Le Castella, affacciato sul mar Ionio, finito al centro della testimonianza resa ieri dalla commercialista reggiana, Federica Zaniboni, che gestisce parte di quelle case vacanza.
La professionista, infatti, è l’amministratore giudiziario incaricato dal tribunale di Reggio per gestire il patrimonio milionario sequestrato ai fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, che nella località balneare di Isola Capo Rizzuto avevano degli appartamenti finiti nell’orbita della cosca Grande Aracri, per i quali i due ricchi fratelli erano considerati un bancomat. I Vertinelli erano proprietari degli appartamenti al mare dopo averli acquistati dal tribunale di Firenze in seguito al fallimento della Real Florence srl. Poi, nel 2011, cercarono di «piazzarli» come alloggi per poliziotti in trasferta. Ma le misure di prevenzione antimafia emesse dalla prefettura di Reggio Emilia verso gli imprenditori calabresi stabilitisi a Montecchio, mandarono a monte l’operazione. Questo perché la questura di Crotone, a cui i Vertinelli si erano rivolti per registrare gli eventuali contratti di locazione, la giudicò «inopportuna».
A svelare il retroscena è stata ieri proprio la commercialista reggiana che cura i beni dei due fratelli condannati dal maxi processo Aemilia. Una testimonianza resa nelle more del processo sulla ’ndrangheta a Brescello, dove il terminale era Francesco Grande Aracri, fratello più anziano del boss Nicolino, insieme ai suoi figli Paolo e Salvatore, quest’ultimo già condannato in abbreviato a 20 anni sempre nel processo Grimilde.
Zaniboni ha ricostruito a fatica la storia degli immobili, di cui in Calabria si occupava il commercialista «a disposizione» del clan Leonardo Villirillo, condannato a 12 anni in primo grado sempre nell’abbreviato di Grimilde. «Quando andavo a Crotone mi presentavo a sorpresa negli uffici, per evitare che gli appuntamenti presi, come era già avvenuto, venissero disdetti all’ultimo momento», ha raccontato Zaniboni. Nel quadro fatto sugli appartamenti (una palazzina con nove alloggi abitabili e arredati più due «scheletri» mai finiti a pochi passi dal mare) è il colore grigio a prevalere, come opachi e «non conformi alle regole della corretta contabilità» sono stati i rapporti che li hanno interessati nel tempo. A legare i Grande Aracri di Brescello con gli appartamenti in Calabria è stato poi Saverio Pescatore, commissario della polizia di Bologna, secondo il quale Francesco volò in Calabria per sistemare l’affare di Le Castella pur sapendo di essere sorvegliato.
Il reggente di Brescello faceva di tutto per restare fuori dai radar dell’antimafia ma la presenza sua e dei parenti a Brescello aveva creato un enclave difficile da espugnare. A testimoniarlo sempre ieri in aula come testimone del pm Beatrice Ronchi è Giammarco Sicuro, giornalista Rai, che il 29 marzo del 2018 mentre si trovava nel paese della bassa, vide il parabrezza dell’auto usata dalla troupe, parcheggiata davanti alla casa di Grande Aracri, infranto da un sasso.
L’autore del gesto, come lui stesso ha confessato, fu Salvatore Grande Aracri che aveva però affermato di aver tirato un sasso «piccolo come un tappo di bottiglia» mentre si trattava di un ciotolo finito fortunatamente sull’auto e non sui giornalisti. Per Pescatore, infine, Salvatore e Francesco avevano mantenuto tutti i rapporti con la famiglia curandone gli affari illeciti, soprattutto Salvatore mentre il padre era sottoposto alla sorveglianza speciale. Enrico Lorenzo Tidona, la Gazzetta di Reggio