Oggi inizia il giorno più lungo per Roberto Rosso, ex assessore regionale e politico piemontese di lungo corso, arrestato un anno e mezzo fa con l’accusa di aver ricevuto l’appoggio elettorale delle famiglie di ‘ndrangheta in cambio di soldi. Sarà un’udienza fiume, nell’aula bunker delle Vallette di Torino, in cui verranno ricostruiti i rapporti intercorsi tra l’ex assessore e gli intermediari delle famiglie. Seguiremo il processo in modalità live, aggiornando di continuo dall’aula bunker.
Ore 9.30. Inizia l’udienza
Inizia l’udienza del processo Carminius contro le famiglie di ‘ndrangheta radicate a Carmagnola e nella cintura sud di Torino. Il collegio di Asti, presieduto dal giudice Alberto Giannone, ha aperto i lavori. Imputato di spicco, l’ex assessore regionale Roberto Rosso, accusato di aver chiesto appoggio elettorale a due presunti boss delle ‘ndrine – Onofrio Garcea e Francesco Viterbo (già condannati nel troncone che si è celebrato con rito abbreviato) – in cambio di 7900 euro. Rosso, difeso dal legale Giorgio Piazzese e dall’avvocato Ester Molinaro del Foro di Roma, è arrivato in aula alle 9 per assistere all’udienza in cui saranno sentiti i testimoni dell’accusa (pm Paolo Toso e Monica Abbatecola) che ricostruiranno le accuse nei suoi confronti attraverso il racconto delle indagini condotte sul suo conto. Rosso, completo blu gessato, ha compilato per primo i moduli di ingresso e si è accomodato in quarta fila accanto ai suoi legali. L’ex assessore regionali di Fdi si è sempre difeso, di fronte ai pm, al gip e ai giudici del Riesame, spiegando di non aver mai percepito “la mafiosità” dei due soggetti con cui era entrato in contatto.
Ore 10,30. I faccendieri intercettati: «Se Rosso non paga ci rimette perché se quelli dicono che ha comprato i voti…».
Il maresciallo Roberto Nantes del Gico della Guardia di Finanza di Torino ha spiegato come il giorno dopo il pagamento da parte di Rosso della tranche di 5 mila euro (“le cinque procure”) avvenuta in piazza Carducci, i due faccendieri (Carlo De Bellis e Enza Colavito entrambi imputati) che hanno fatto da tramite tra l’ex assessore e i due ‘ndranghetisti Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, commentano il pagamento dei soldi in cambio di voti: “La banda è a posto?” chiede uno all’altra. Risposta: “Si si, è scappato, si è messo i soldi in tasca ed è sparito come un fulmine”.
Con ogni probabilità si riferisce ai 5 mila euro consegnati a Viterbo dopo averli ritirati da Rosso. Il pagamento sarebbe arrivato al termine di una serie di discussioni perché l’ex assessore si sarebbe rifiutato di corrispondere la cifra pattuita in origine, cioè 15 mila euro. Avrebbe pagato meno, ma avrebbe pagato comunque. “Anche perché – commentano i due faccendieri – Rosso ci avrebbe rimesso perché se quelli avessero detto che aveva comprato i voti…”. La testimonianza di Nantes prosegue con la lettura di una serie di intercettazioni e di dati estrapolati dal cellulare sequestrato all’affiliato che dimostrerebbero come i due ‘ndranghetisti avessero partecipato anche ad alcune iniziative elettorali per Rosso in occasione delle elezioni regionali del 2019 (in un caso a Rivoli). Che sia esistita una fibrillazione sull’entità dei pagamenti da corrispondere ai due presunti mafiosi lo testimonia una telefonata tra la faccendiera Colavito e Raffaella Furnari, dello staff di Rosso. Colavito, intercettata, si sfoga: “Roberto mi ha fatto interfacciare con della gente che non volevo…. O dici no i dici si. Se dici si però poi devi…non che vengono poi a bussare a me che non c’entro niente”.
Ore 11,30. Il boss e la chat dell’agenda elettorale di Rosso
Il presunto boss delle ‘ndrine vibonesi Francesco Viterbo, arrestato nell’operazione Carminius e già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso e voto di scambio,, riceveva puntualmente comunicazioni su iniziative elettorali di un certa rilevanza organizzate nella campagna elettorale di Roberto Rosso per le regionali del 2019. Da metà aprile fino alla consultazione vera e propria di fine maggio più messaggini giungono sul telefonino dell’affiliato “Ne abbiamo trovato traccia nel cellulare di Viterbo – ha spiegato il maresciallo Nantes – e i testi provenivano tutti da un telefonino in uso allo staff di Rosso”. Poco prima delle elezioni a Rivoli Viterbo partecipa da protagonista a un incontro volto alla promozione del candidato Rosso. A un imprenditrice che lo chiama al telefono spiega: “Stasera è importantissimo, è una cena riservata, chiusa. Tu dici che sei con Viterbo. Paga tutto lui (Rosso ndr), è gratis”.
Ore 13. Il boss e i rapporti con la politica
Francesco Viterbo, affiliato alla ‘ndrangheta, condannato a 7 anni e 7 mesi in primo grado nel troncone del processo Carminius non ebbe solo rapporti con Roberto Rosso, ex assessore regionale della giunta Cirio finito nei guai nella cornice dell’inchiesta sul radicamento delle cosche vibonesi nell’hinterland sud di Torino per voto di scambio politico mafioso. Dalla testimonianza di oggi del maresciallo Roberto Nantes, del Gico della Guardia di Finanza, Viterbo “aveva una solida amicizia” con l’ex deputato di Forza Italia e già sindaco (per più mandati) della cittadina di Santena Benedetto “Benny” Nicotra (non indagato). Con lui, al telefono intercettato diceva di conoscere anche Osvaldo Napoli (Fi, non indagato). Sempre secondo la testimonianza del sottoufficiale Viterbo avrebbe chiesto aiuto a Ornella Toselli, divenuta mesi dopo presidente della Consulta femminile della regione Piemonte
Ore 13.45. Il mandatario di Rosso: “Spesi 52 mila euro per la campagne elettorale”
In aula è stato sentito anche Vincenzo Palma, mandatario della campagna elettorale di Rosso, colui, in sostanza che si occupava della tenuta contabile del conto del candidato. Palma, professione geometra, era alla prima esperienza in questa veste: “Mi è bastata una volta” ha detto rispondendo la presidente del Collegio Alberto Giannone. Il testimone ha riferito che Rosso ha speso “52 mila euro per la campagna elettorale da consigliere regionale e più di 200 mila per quella da parlamentare europeo”. Di questi soldi “io tracciavo tutto. Le entrate erano nella quasi totalità dei casi fondi propri di Rosso versati sul conto della campagna elettorale, tranne in due occasioni ma per cifre basse: mi pare 2 mila euro. Gli unici pagamenti in contanti erano effettuati a favore dei cosiddetti volontari (quelli che facevano il volantinaggio”. Ha escluso così che i 7900 euro consegnati – secondo l’accusa – da Rosso ai due faccendieri poi finiti nelle mani dei boss, possano essere usciti dal conto ufficiale del candidato. Giuseppe Legato, la Stampa