Da Minotauro ad Alto Piemonte, spuntano nomi noti. Gli investigatori davano la caccia anche al boss Pasquale Bonavota
Non è solo un’udienza — quella di giovedì 8 aprile — ma (anche) un evergreen sulla storia recente degli intrecci di ‘ndrangheta e politica in Piemonte: durante il processo Carminius-Fenice, si ricorda infatti Nevio Coral, ex sindaco di Leini condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’inchiesta Minotauro; la locale di Volpiano con gli Agresta e l’indagine Alto Piemonte; gli accertamenti su Fabrizio Bertot, già europarlamentare e oggi segretario provinciale di Fratelli d’Italia per l’area metropolitana di Torino (la cui posizione fu comunque archiviata). Tutti casi giudiziari risalenti anche al 2009-2010 rievocati dal pubblico ministero della Dda Paolo Toso, che insieme alla collega Monica Abbatecola ha coordinato l’inchiesta sulle infiltrazioni della criminalità organizzata a Carmagnola e dintorni e portato a processo l’ex assessore regionale Roberto Rosso. Obiettivo dell’accusa — ascoltando come testimone il maresciallo del Gico della guardia di finanza Roberto Nantes, memoria storica dell’ufficio — era quella di tracciare il «contorno» della vicenda sul presunto voto di scambio, tra Rosso e gli uomini della ‘ndrangheta. Visto con gli occhi delle difesa — l’avvocato Giorgio Piazzese e lo studio del professor Franco Coppi — la citazione di persone non presenti nei capi d’accusa, di circostanze estranee ai fatti contestati. Insomma, «un contorno», appunto.
E Rosso disse: «Ciao Francone»
Quasi subito spunta la figura di Franco Violi — che è poi il punto di contatto tra le vicende passate e il presente — un personaggio che in ambienti investigativi è considerato vicino a esponenti della criminalità organizzata nel Canavese, e che comparve ripetutamente nelle vecchie indagini. Che in questa vicenda non è indagato, ma citato come testimone. «Sono emersi rapporti tra Violi e Rosso», dice a un certo punto il militare delle Fiamme gialle, durante la campagna elettorale per le regionali del 2019, e poi racconta di diverse conversazioni intercettate, tra i due. In una, Rosso esordiva con un «Ciao Francone, grazie di tutto». Risposta: «Te lo sei meritato». Sarà lo stesso Violi — sempre secondo la ricostruzione degli investigatori — a organizzare un incontro di campagna elettorale in un bar di Volpiano, gestito da una persona il cui nome «emergeva già in Alto Piemonte». Motivo: «Lì avvenivano i passaggi di stupefacente tra Francesco Macrì e Agresta Antonio classe ‘73». Ma dentro l’aula bunker delle Vallette, dove è in trasferta il tribunale di Asti (presidente Alberto Giannone, giudici a latere Beatrice Bonisoli e Claudia Beconi), si parla anche di usura, malavitosi e caccia a latitanti, poiché il processo ha finito per unire due inchieste. Così si scopre, sempre dalle intercettazioni, che Onofrio Garcea — già condannato in abbreviato per voto di scambio — temeva di essere seguito perché, pedinando lui, gli investigatori speravano di arrivare al boss Pasquale Bonavota. «Erano convinti fosse a Genova o Torino». Insomma, personaggi di un certo calibro, come si capisce dalla testimonianza di un uomo del giro, vittima di usura, che aveva chiesto di potersi mettere in contatto proprio con Garcea, a Genova, chissà se per avere un’intercessione. Motivo: «Era carismatico, rispettato e risolutivo». Sulle pagine bianche del crimine, un discreto biglietto da visita. Massimiliano Nerozzi, Corriere.it