«Un giorno sentii gridare mio fratello… Poi mi disse: “Volevano buttarmi giù dal balcone… Ho fatto la tua firma per cedere le quote della società (Sae D Groups srl)”». Processo al clan Bolognino, longa manus in terra veneta della ’ndrangheta legata alla famiglia Grande Aracri. Nell’udienza di ieri, davanti al tribunale di Padova, ha parlato l’imprenditore padovano Michele De Zanetti, titolare dell’omonima impresa edile come di Sae D Groups srl, con sede a Vigonza in via Spagna 6, ripercorrendo un episodio di cui fu protagonista il fratello Luca De Zanetti, tra gli imputati del processo con Sergio Bolognino, 53enne calabrese di Locri con residenza nel Vicentino a Tezze sul Brenta, e Antonio Genesio Mangone (considerato il picchiatore del clan), i calabresi Francesco Agostino, Antonio Carvelli, Stefano Marzano, il trevigiano Antonio Gnesotto di Villorba ed Emanuel Levorato di Vigonza. Pungolato dalle domande del pm Paola Tonini, magistrato della Dda veneziana (Direzione distrettuale antimafia) che aveva coordinato l’inchiesta, Michele De Zanetti ha ricostruito l’incontro tra il fratello e i Bolognino. Fratello (appunto Luca) con un ruolo processuale pesante, chiamato com’è a rispondere di un paio di estorsioni continuate a fianco di Sergio Bolognino ma nel contempo anche parte al processo come vittima (sempre tutelato dal penalista Pietro Someda). Il 9 ottobre 2012 Sergio e Michele Bolognino (quest’ultimo boss con la qualifica riconosciuta di santa) si presentano in ditta affiancati da altri sodali. E incontrano i fratelli De Zanetti: pretendono la cessione nelle loro mani del 10 per cento delle quote societarie. Michele De Zanetti dice no: «Negai la cessione di quelle quote» ha rammentato in aula, «ma il giorno dopo, il 10, i Bolognino tornarono nei nostri uffici». Oltre a loro, c’erano Mangone, con i guardiaspalle Marzano (pure imputato nel troncone padovano), Giuseppe Richichi (giudicato a Venezia) e una persona mai identificata. Ha ricostruito Michele De Zanette: «Il giorno seguente incontrarono mio fratello. Sentii gridare, poi Luca mi disse che lo volevano buttare giù dal balcone… Gli diedero una sberla… Così mi riferì di aver fatto la mia firma per cedere le quote». Quote cedute a Noemi Andrea Bolognino, figlia oggi 28enne di Sergio Bolognino: fu indagata per intestazione fittizia delle quote (valore di 7 mila euro pari al 10% del capitale versato), reato poi risultato prescritto. Era il sistema Bolognino, almeno ne è convinta la pubblica accusa che contesta a Sergio Bolognino come a Mangone l’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata all’estorsione: con il loro potere di intimidazione, si insinuavano in imprese locali impadronendosene di fatto e assoggettandole alle loro regole. Di nuovo in aula il 12 maggio. Cristina Genesin, IL mattino di Padova