Blitz all’alba in Lombardia, Emilia Romagna e Liguria. Colpiti gli affari dei clan della ‘ndrangheta. Diciotto le persone arrestate. Le accuse: traffico di rifiuti, usura, estorsioni, riciclaggio e frodi fiscali. Al centro dell’inchiesta il boss Cosimo Vallelonga
Traffico di rifiuti, usura, estorsioni, riciclaggio e frodi fiscali. Blitz dell’Antimafia contro le cosche della ‘ndrangheta in Lombardia. Sono 18 gli arresti eseguiti dalla Dia, dal Gico della guardia di Finanza e dalla polizia, contro presunti affiliati ai clan calabresi, in particolare nella zona del Lecchese. Dieci sono finiti in carcere, e otto ai domiciliari, su ordine del gip del Tribunale di Milano. L’inchiesta, chiamata «Cardine – Metal money» è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci. Il blitz ha riguardato tre regioni: Lombardia, Emilia Romagna e Liguria e ha portato al sequestro «per equivalente» di oltre 120 mila euro e delle quote di alcune società utilizzate dagli arrestati per le attività illecite. Durante le perquisizioni sono state trovate anche armi detenute illegalmente.
L’inchiesta ruota intorno alla figura di un nome storico della ‘ndrangheta in Lombardia, Cosimo Vallelonga, già condannato per associazione mafiosa nell’operazione «I fiori della notte di San Vito» negli anni Novanta e per la maxi indagine «Infinito» del 2010. Una volta scarcerato, Vallelonga avrebbe ripreso in mano le redini della cosca dal suo negozio «Arredo mania» di La Valletta Brianza in provincia di Lecco. Attività commerciale non più riconducibile a lui ma nella quale aveva conservato un ufficio,
Qui riceveva altri affiliati, organizzava il riassetto del clan e gestiva un cospicuo giro di usura. Insieme a lui, Vincenzo Marchio. Il padre era stato già condannato nell’operazione «Oversize» perché affiliato al «locale» di ‘ndrangheta di Lecco fin dagli anni Sessanta capeggiato dalla famiglia Coco Trovato, alleata del potente clan De Stefano di Reggio Calabria e guidata dall’ergastolano Franco Coco Trovato.
Marchio era il braccio «armato» di Vallelonga. Era lui ad occuparsi del recupero crediti, delle spedizioni punitive e delle intimidazioni. Il clan, secondo quanto ricostruito dagli investigatori milanesi e lecchesi, avrebbe diversificato i suoi settori di interesse. Includendo anche la nuova frontiera del traffico di rifiuti. Il boss, infatti, insieme ad altri indagati, avrebbe costituito società per il recupero di metalli e truffando sui formulari li avrebbe smaltiti illecitamente. In questo modo, anche attraverso diverse società di comodo, semplici «cartiere» per produrre false fatture, avrebbe messo le mani su 7 milioni di euro.
Impressionante il giro d’affari documentato dalla Dda: almeno 30 milioni di euro in tre anni frutto dell’acquisto in nero dei materiali di scarto e movimentati attraverso sportelli bancari e postali su conti intestati a prestanome. Durante le indagini anche il maxi sequestro di un camion, bloccato dalla Polstrada di Brescia nel 2018 in provincia di Bergamo, con un carico di 16 tonnellate di rifiuti pericolosi e radioattivi composto da rame trinciato. I soldi venivano poi utilizzati per comprare macchine, attività commerciali, bar e ristoranti, costituire nuove imprese, ma anche come capitale per l’usura. Almeno otto le vittime scoperte dagli investigatori, diversi sono imprenditori lombardi, con un giro di affari tra i 750 mila euro e il milione e interessi su base annua fino al 40 per cento. Chi non pagava subiva attentati, incendi e intimidazioni. Cesare Giuzzi, Giuseppe Guastella, corriere.it