Duecentoquattro anni e mezzo di condanna per i 18 imputati, con un massimo di 20 anni per quattro dei soggetti finiti davanti al giudice ed un minimo di 4 anni e 4 mesi. Nessuna parte civile costituita in aula, delle 14 che erano state individuate dai magistrati della Dda di Milano al termine dell’operazione che fu denominata “Gaia”.
Si è tenuta a Milano, nell’aula Bunker di via Guido Ucelli di Nemi, la prima udienza del processo con rito Abbreviato che vede davanti al giudice i 18 indagati dell’indagine che aveva riguardato i locali e le discoteche del Comasco, compresa le gestione dei buttafuori delle stesse strutture. In aula c’erano i pm Sara Ombra e Cecilia Vassena, chiamate a tirare le fila su contestazioni che parlavano a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto abusivo di armi, ma anche di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, in arrivo soprattutto dalla Spagna.
Prima dell’accusa, a rispondere alle domande erano stati due imputati, Carmelo Cristello (48 anni di Cabiate, assistito dall’avvocato Gino Colombo) e Luca Vacca, residente a Mariano Comense (37 anni), difeso dal legale Simone Gatto.
Poi la parola è passate alle pm dell’Antimafia che, nella serata di ieri, hanno tirato le conclusioni chiedendo condanne per un totale di 204 anni e mezzo di pena, quattro di queste (tra cui Cristello e Vacca) a 20 anni.
«Richieste eccessive», ha commentato al termine l’avvocato Gatto. La parola passerà ora proprio alle difese, con tre udienze già fissate a febbraio.
Nel mirino di questa maxi inchiesta, l’ennesima sul nostro territorio relativa alla presenza della malavita organizzata di stampo calabrese, era finita l’attività di spaccio ma anche – come già era avvenuto per piazza Garibaldi a Cantù – la gestione dei servizi di sicurezza dei locali notturni del territorio, discoteche e pub dislocati tra Como, Erba, Cantù ma anche Monza e Milano. Secondo gli inquirenti, la ’ndrangheta controllava i locali notturni (bar e discoteche) non attraverso le proprietà delle quote, bensì con «l’imposizione di ditte di sicurezza di “copertura”, dietro le quali si sarebbero celati soggetti appartenenti alla malavita organizzata calabrese». Condotte che avevano lo scopo ovviamente di fare “business”, ma anche di ottenere fondi da destinare agli affiliati colpiti in questi anni dalle operazioni della Dda e ristretti nelle carceri della penisola: «Tutti i mesi bisogna mandare un regalo agli amici che purtroppo non ci sono più a lavorare con noi – dice un arrestato intercettato – e hanno bisogno giustamente di mangiare, no?».
Tra gli indagati ben otto figurano essere residenti in provincia di Como. A Carmelo Cristello e Luca Vacca, ma anche a Daniele Scolari (33 anni sempre residente a Mariano Comense), viene contestato, con Umberto Cristello (nato a Mileto, residente a Seregno, 53 anni) l’appartenenza alla malavita organizzata.Mauro Peverelli, Corriere di Como