Hanno invece parlato due 34enni: «Non c’entriamo nulla con il clan» Oggi l’interrogatorio di Solomon Obaseki, considerato dalla Dda il boss in Italia
Sono iniziati gli interrogatori di garanzia – in videoconferenza, ma ieri con il carcere di Modena come punto-fisso per gli arrestati – legati all’operazione della Dda dell’Aquila nei confronti della mafia nigeriana appartenente alla Black Axe.
Nove i bloccati a Reggio Emilia (ne sono stati sentiti tre), ma anche nel Modenese sono scattate le manette per tre nigeriani: Keppy Bashir (45 anni, domiciliato a Castelfranco Emilia), Osazee James Egbon (32enne, vive a Sassuolo) e Kingsley Nosakhare Irabor (38 anni, di Modena).
Relativamente ai nigeriani bloccati a Reggio si è avvalso della facoltà di non rispondere Martins Igiehon detto Eze o Little Boy, 40 anni, domiciliato in via Arleoni a Massenzatico. È considerato dagli inquirenti una delle figure di vertice dell’organizzazione, più in particolare viene inquadrato come il braccio destro del capo italiano (il 35enne Solomon Obaseki, detto Seki o Titus). Secondo l’ordinanza Little Boy, che regnava sulla nostra città, era il braccio destro di Seki al quale riferiva direttamente. Accusato di reati quali “truffe informatiche, contraffazione di documenti d’identità e traffico di sostanze stupefacenti” per l’accusa «promuoveva, dirigeva e organizzava l’associazione, concordava con Seki la panificazione delle linee strategiche dell’associazione, rivestiva il ruolo di link man, partecipava e presiedeva ai summit, si occupava di risolvere i dissidi interni e in occasione di contrasti sorti con altri Cults decideva le sanzioni per i trasgressori».
Oltre a Little Boy, l’avvocatessa Gisella Mesoraca difende anche il 34enne Osayawe Imarhiagbe (detto Osas, Lucas e Osawe) che ieri si è difeso a spada tratta nell’interrogatorio via web.
Al gip Guendalina Buccella (collegata dall’Aquila, come la Procura distrettuale antimafia), il nigeriano ha respinto l’accusa di essere l’organizzatore-cassiere. Si ritiene «tirato in mezzo» a quest’inchiesta, solo perché dà una mano ai connazionali, facendo da traduttore o accompagnandoli anche dagli avvocati in caso di bisogno. Si è definito come una sorta di mediatore culturale, da anni stabilizzatosi a Reggio Emilia con la famiglia e dove lavora come operaio. «Non c’entro con queste vicende» la sua disperata difesa. Stessa replica alle accuse da parte del 34enne Andrew Isikhuemhen (tutelato dall’avvocato Costantino Diana) che vive a Cavriago, ma va e viene dalla Spagna. «Non faccio parte della Black Axe» ha spiegato in un interrogatorio molto faticoso, nonostante la presenza di un interprete, perché il 34enne si esprime in un mix di nigeriano, inglese e francese. Oggi sarà la volta di chi – per la Dda – è il vero boss, il capo assoluto della mafia nigeriana in Italia. Stiamo parlando di Obaseki, che è assistito dall’avvocatessa Pina Di Credico. A lui risultano addebitati quasi tutti i reati per una sessantina di episodi, per lo più truffe telematiche, mentre si sono delineati i ruoli dei suoi più stretti collaboratori. “Seki” è stato catturato nella nostra città perché, se impartiva gli ordini in tutta Italia via computer dal suo appartamento a L’Aquila, secondo gli inquirenti almeno dal 2017 compiva frequenti viaggi a Reggio Emilia, dove nel gennaio scorso è stato arrestato dalla squadra mobile per narcotraffico nell’ambito dell’operazione Trexit coordinata dal sostituto procuratore Giacomo Forte e dalla Dda di Bologna. Tiziano Soresina, La gazzetta di Reggio