Il procuratore aggiunto della Dda di Reggio: «Superare l’approccio tradizionale ad un fenomeno evoluto. La corruzione costa 670 miliardi alle imprese»
«Negli ultimi anni la Dda di Reggio Calabria ha avviato un percorso investigativo particolarmente difficile. Tante vicende vengono ricostruite in questo contesto, ma non tutte trovano sbocchi processuali. Serviva uno sforzo in più per capire cos’è diventata nel tempo la ‘ndrangheta». Così il procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che ha partecipato all’incontro “Etica della responsabilità sociale contro mafie e corruzione”, organizzato dall’associazione Libera in occasione della XXVI giornata in memoria delle vittime innocenti delle mafie. Hanno dialogato con lui Enza Rando, avvocato dell’associazione e già legale di Lea Garofalo e della figlia Denise e Vincenzo Agostino, padre di Nino. In questi giorni è arrivata la prima sentenza per l’omicidio del poliziotto e della moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989 ed ha visto la condanna all’ergastolo di Antonino Madonia, esecutore del delitto.
Il ruolo delle categorie professionali nella ‘ndrangheta
«La nostra mira – dice il magistrato – si rivolgeva a individuare il ruolo delle categorie professionali nella criminalità, che oggi comprende anche una certa componente della magistratura. Fino a qualche anno fa le categorie che assumevano rilevanza in sede penale erano ristrette e in qualche modo antiquate». La produzione investigativa che ha portato all’accertamento della rilevanza penale di alcuni comportamenti è recente. In tal senso, la procura di Reggio Calabria ha fatto anche da apripista rispetto alla lettura di questi fenomeni. «Siamo arrivati a comprendere che esiste una componente apicale della ‘ndrangheta, sconosciuta, all’interno della quale operano i professionisti».
Uno spaccato emerso, tra gli altri, nel processo “Gotha”, evidenziato dalle dichiarazioni del neopentito Seby Vecchio, ex poliziotto ed assessore a Palazzo San Giorgio. La sua deposizione nel corso dell’ultima udienza ha acceso una volta in più i riflettori su un tutto indistinto che coinvolge, oltre alla ‘ndrangheta, anche politica, massoneria, servizi deviati, forze dell’ordine, per descrivere il quale, ha detto il collaboratore di giustizia, «occorrerebbe coniare un nuovo nome». Non si tratta più di una componente esterna al circuito criminale, dunque, ma «interna e da collocare anche ad un livello alto».
La circolarità operativa del sistema criminale
«Bisogna essere in grado di comunicare all’esterno che il sistema mafioso è molto altro rispetto a quello di cui si racconta. L’informazione non diffonde il contenuto del provvedimento giudiziario, ma spesso e volentieri lo trasforma». Oggi non si dovrebbe parlare più di sigle di singole mafie, ma «di un sistema unico integrato all’interno del quale c’è anche la componente professionale». Si crea così una sorta di “circolarità operativa”, spiega Lombardo: «La componente mafiosa ha bisogno di quella professionale che a sua volta ha bisogno della componente politica. La componente politica, parimenti, ha bisogno della componente economica che torna alla componente mafiosa». Per scardinare questo sistema «non ci si può limitare a battersi dentro le aule di udienza, ma anche all’esterno, creando degli argini che non permettano al sistema criminale di alimentarsi».
I numeri del fenomeno: la corruzione costa 670 miliardi alle imprese
Il circuito corruttivo collegato alle mafie costa alle imprese legali circa 670 miliardi di euro. Per mancati investimenti dall’estero, le imprese italiane perdono il 16% del potenziale guadagno. «Allora quando parliamo di questi fenomeni – dice Lombardo – dobbiamo superare quella rappresentazione arcaica del sistema mafioso, scollegata dai grandi circuiti economici».
La componente calabrese
«Sulla base di risultati giudiziari stabili – dice il procuratore aggiunto – la componente calabrese della mafia è molto più economica e politica».
La stagione stragista, che spostò i riflettori sul panorama siciliano permise alla ‘ndrangheta di diventare, in accordo con Cosa Nostra, «il soggetto egemone nel narcotraffico internazionale».
Un tipo di traffico «che non è solo un fenomeno criminale» bensì «un problema economico per l’enorme quantità di denaro che riesce a generare e mettere in circolo». Un volume di affari complessivo che rischia, per i suoi valori, di mettere in crisi i circuiti economici leciti.
«Dobbiamo rispondere anche alle domande più banali»
«Non basta più un approccio classico», dice Lombardo. «Dobbiamo capire dove sono finiti quei capitali. Scardinare il sistema alimentato dal denaro sporco».
Un’operazione che non può essere ascritta al contrasto delle condotte di riciclaggio in quanto, «le componenti criminali sono molto più avanti rispetto a questo tipo di approccio».
«Noi dobbiamo andare oltre le responsabilità penali, civili e amministrative. Dobbiamo perimetrare in senso evoluto il contrasto antimafia, che deve essere portato avanti da ognuno di noi» a cominciare «dagli avamposti che hanno contatto diretto con le manifestazioni criminali, per frenare il fenomeno alla base».
«Non ci possiamo più permettere di non rispondere a domande anche banali ed essere in grado di fare squadra davvero». E chiosa citando Kafka: «Da un certo punto in avanti non c’è più modo di tornare indietro». Corriere della Calabria