Nove collaboratori di giustizia svelano i “segreti” della potente famiglia di Sant’Onofrio: il summit a casa dei Fiarè, la mancata pace con i Petrolo, l’articolazione di Carmagnola e un omicidio “eccellente” saltato all’ultimo minuto
Gli affari dei Bonavota in Piemonte raccontati da nove collaboratori di giustizia. Da Loredana Patania fino ad Ignazio Zito passando per Raffaele Moscato e Andrea Mantella. Ci sono anche le loro dichiarazioni nelle oltre 400 pagine che costituiscono l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Torino su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Pagine e pagine di verbali confluite nell’inchiesta denominata “Carminius” che svelano diversi retroscena.
L’articolazione di Carmagnola. Al centro dell’indagine l’operatività della ‘ndrina dei Bonavota nel Torinese e in particolare a Carmagnola dove si sarebbe ramificata una parte della consorteria criminale egemone a Sant’Onofrio e dintorni. Gli inquirenti inquadrano come figura di riferimento quella di Salvatore Arone, detto Turi. Insieme al fratello Francesco rappresenterebbe il vertice della ‘ndrina in territorio piemontese. Il suo nome è già noto alla cronache giudiziarie e salì alla ribalta nell’estate del 1991 nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Squadra Mobile di Torino che aveva raccolto elementi di reità nei confronti di Salvatore Arone e di altri due esponenti di spicco del clan Bonavota nell’ambito della faida con i Petrolo e, in particolare, in ordine alla loro partecipazione al tentato omicidio di Paolo Augurusa avvenuto nel settembre del 1990 a Torino. Lo stesso Salvatore Arone fu oggetto di un gravissimo attentato nel corso della stessa faida. Nell’agosto del 1990 rimase gravemente ferito mentre viaggiava in macchina con Antonino Defina, altro soggetto arrestato nell’operazione “Carminius”. “Trattasi – scrive il gip – di un avvenimento da ritenersi eloquente, idoneo ad evidenziare il pieno e rilevante inserimento, sin da tempi assai risalenti dell’Arona Salvatore e di Defina Antonino in dinamiche di criminalità organizzata”.
La faida di Sant’Onofrio e il summit a casa Fiarè. Non solo, tra le pagine dell’ordinanza si fa riferimento anche ad un summit tenutosi a San Gregorio d’Ippona nell’abitazione di Rosario Fiarè. Una riunione richiesta dal clan Petrolo ai primi anni ’90 e finalizzata al raggiungimento della pax mafiosa con i Bonavota. Secondo quanto raccontato da uno dei primi pentiti in assoluto della ‘ndrangheta vibones, Rosario Michienzi (l’autista che guidò l’Alfa 33 nella famigerata strage dell’Epifania del 1991), a quell’incontro parteciparono Pasquale Matina in rappresentanza dei Petrolo e Salvatore Arone con un suo cognato in rappresentanza dei Bonavota che – secondo quanto sostenuto dal collaboratore di giustizia – respinsero la proposta di pace replicando con il tentato triplice omicidio in danno di Paolo Augurusa, Fedele Cugliari e Rosario Petrolo.
Le dichiarazioni dei pentiti. Una parte dell’impianto accusatorio dell’inchiesta è basata sui racconti di alcuni collaboratori di giustizia. Loredana Patania, ex moglie di Giuseppe Matina, alias “Gringia”, ucciso in un agguato nel febbraio del 2012, si sofferma sulla figura di Domenico Cugliari, detto “Micu i mela”, zio dei fratelli Bonavota (è il fratello della madre): “E’ il burattinaio o referente della famiglia. In sostanza è lui che prende le decisioni che riguardano tutta la famiglia come ad esempio gli omicidi. Dico ciò in quanto mio marito e Bartolotta ne parlavano alla mia presenza…”. Il collaboratore di giustizia Francesco Costantino, definito facente parte della ‘ndrangheta in qualità di “riservato”, vale a dire meritevole di entrare a far parte della ‘ndrangheta ma non ancora battezzato, ha parlato dell’articolazione piemontese dei Bonavota. “Io abito a Carignano che è zona controllata dalla famiglia Defina e dai loro cugini Arone e altri amici che si chiamano Costa e che abitano pure a Carignano”. Per il pentito gli Arone avevano una precisa zona d’influenza che si estendeva da Carmagnola alla provincia di Cuneo. “Le famiglie che operavano attivamente sul territorio torinese erano gli Arone (originari di Sant’Onofrio e facenti parte della famiglia Bonavota, Cugliari, Defina) per la zona di Carmagnola, Sommariva e zona in provincia di Cuneo (Alba e Bra)”.
Moscato e il “Locale di Sant’Onofrio”. Tra i collaboratori di giustizia citati nell’ordinanza spiccano le dichiarazioni di Raffaele Moscato, esponente di spicco dei Piscopisani, il gruppo alleato dei Bonavota durante la faida contro i Patania di Stefanaconi. Moscato rivela “che nell’anno 2012 era nato ufficialmente il locale di Sant’Onofrio con a capo Domenico Bonavota e Domenico Cugliari ‘Micu i mela’”. A questa ‘ndrina riconosceva come appartenenti i fratelli Domenico Bonavota, Pasquale, Salvatore e Nicola, Cugliari Domenico, Caparrotta Basilio classe 1971, Giulio Castagna, Francesco Fortuna, i fratelli Onofrio e Giuseppe Barbieri, Antonio Patania, Pezzo Carlo e Caparrotta Gerardo…”. Moscato asserisce poi che a Torino erano presenti delle persone facenti parte del gruppo Bonavota precisando di aver conosciuto un loro cugino che si occupava di spaccio di sostanze stupefacenti. “Nulla mi dice – precisa Moscato – il nominativo di Arone Salvatore”.
Mantella e l’agguato fallito a Nino i Palumba. Più dettagliate le rivelazioni di Andrea Mantella che ha ampiamente parlato della cosca Bonavota riferendo di aver conosciuto il capo storico Vincenzo Bonavota e di conoscere Pasquale Bonavota, Domenico Cugliari, Nicola Bonavota, Salvatore Arone, Francesco Fortuna, Carlo Pezzo, Antonio Sarratore, Giulio Castagna, Onofrio e Giuseppe Barbieri. Come Moscato, anche Mantella fa riferimento al locale di Sant’Onofrio e non più solo alla cosca Bonavota. “Salvatore Arona – precisa – era il capo di una ‘ndrina distaccata del locale di Sant’Onofrio, verosimilmente attiva nel comune di Carmagnola, della quale fa parte anche Antonio Serratore”. L’ex boss scissionista svela poi un altro retroscena: Salvatore Arone e Antonio Serratore lo avrebbero favorito fornendogli assistenza legale e mettendolo in contatto con un ispettore della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Torino che gli avrebbe fornito dei telefoni cellulari. Mantella ha anche parlato del fatto che era stato incaricato insieme a Francesco Fortuna e Francesco Scrugli di recarsi a Torino per ammazzare Antonino Defina ma per motivi familiari non potè partire e al suo posto si recò il cugino Salvatore Mantella. L’omicidio di Defina – si legge nell’ordinanza – era stato disposto dai vertici della cosca Bonavota su espressa richiesta di Salvatore Arone. Le armi per l’occasione le avrebbe dovuto fornire Antonio Saratore il quale avrebbe dovuto indicare ai sicari la persona da uccidere. “L’omicidio – come riferito da Mantella – non avvenne in quanto il 27 aprile del 2005 Salvatore Mantella e Francesco Fortuna sono stati controllati da una Volante a Torino e accompagnati in Questura dove sono stati sottoposti a rilievi segnaletici”. Defina, detto Nino i Palumba, doveva essere ucciso perché avrebbe dato fastidio nell’attività edilizia immobiliare. “Furono – aggiunge Mantella – Domenico, Pasquale e Nicola Bonavota a decidere di commettere l’omicidio per fare un favore a Turi Arona”. Come emerso in altre inchieste, Mantella aveva in mano una vera e propria “lista della morte”, cioè una serie di omicidi da compiere per fare un “favore” alla famiglia Bonavota. “Non so se Defina – dichiara – sia venuto a conoscenza di questo tentativo di omicidio e non so se ci sia stata una pacificazione. So che Defina sapeva di essere in contrasto con Turi Arona e vedendo gli omicidi che venivano commessi a Vibo di certo temeva per lui, tanto che si muoveva con accortezza e non andava nemmeno nella sua casa al mare”. Zoom24