Così i clan hanno messo radici in decine di città tedesche. L’indagine che svela gli affari dei cugini di San Luca
Sin dagli anni Sessanta e Settanta, la ‘ndrangheta ha messo profonde radici in Germania. Ma negli ultimi decenni è avvenuta una moltiplicazione talmente vertiginosa dei loro affari tra Duisburg e Kassel, tra Monaco e Baden-Baden, tra Erfurt e Lipsia, che per la prima volta la Procura federale ammette l’esistenza di una cupola, “Crimine in Germania”, preposta a mediare tra i clan.
Da un’inchiesta giornalistica di F.A.Z. e MDR emerge che la struttura di vertice, creata dopo la strage di Duisburg del 2007, conta nove membri, si riunisce almeno una volta all’anno ed è guidata da un boss, un “capo crimine” che viene scelto dagli esponenti più importanti delle famiglie. La Germania è l’unico paese estero dove le ndrine hanno creato una struttura di comando ad hoc. E i capi si nascondono quasi tutti a ovest e a sud del paese, nelle regioni più ricche. Ma qualcuno ha fatto una vertiginosa carriera anche partendo dall’Est, dalla Turingia.
E’ lì, ad Erfurt, che negli anni Duemila i magistrati registrano un’intensificazione della presenza del crimine organizzato calabrese. Soprattutto i cugini Rossi (il cognome è fittizio, ndr), che si chiamano entrambi Antonio e che i magistrati distinguono in base all’anno di nascita, “68” e “65” moltiplicano gli acquisti di ristoranti, gelaterie e altre attività utili al riciclaggio. Nel giro di pochi anni, estendono le loro metastasi anche a ovest.
“Antonio Rossi 68” è arrivato in Germania giovanissimo, ufficialmente per lavorare da cameriere. Già nel 1989 si compra, nonostante lo stipendio da fame, la pizzeria di Duisburg dove lavora, “Da Bruno”. La stessa dove quindici anni dopo si consumerà la peggiore strage di mafia della storia tedesca. Sei morti, un clamore enorme e un risveglio amaro per tutta Germania: la ‘ndrangheta è anche qui, titolano tutti i giornali.
Poco dopo, quando tutti tornano a occuparsi d’altro e il crimine organizzato torna essere il male di una minoranza, gli italiani, la ‘ndrangheta ricomincia a fare affari d’oro. Soprattutto, ha imparato dall’errore di Duisburg: per evitare faide e rumorose vendette, si dota di una cupola. Per guadagnare soldi a palate in Germania, è meglio il silenzio, la pace. Ma qualche punto interrogativo resta, e non solo sulle loro attività. Anche su un’inchiesta chiusa frettolosamente.
I magistrati di Gera aprono un fascicolo sulle attività dei cugini “Rossi”, affiliati al clan dei Pelle, nel 2000: il sospetto è che tutti quei soldi provengano dal traffico di droga. L'”Operation Fido” va avanti per due anni. Gli inquirenti intercettano miriadi di telefonate, studiano i movimenti di denaro, parlano con i colleghi italiani. Durante le indagini gli rivelano di avere difficoltà nel rintracciare i flussi finanziari: ormai i legami a Erfurt dei Rossi con banche e amministrazioni locali sono troppo forti. E in una telefonata intercettata, il gestore di un ristorante annuncia che un certo giudice sarebbe già nel ristorante. “Antonio Rossi 68” gli risponde che allora passa a “portare la cosa al giudice”.
Gli inquirenti tedeschi capiscono le strutture dei clan, i loro legami con le famiglie calabresi. Riescono persino a infiltrare l’organizzazione con un poliziotto sotto copertura. Vedono con preoccupazione i cugini Rossi reclutare cuochi, pizzaioli, camerieri dalla zona di San Luca, uno dei principali feudi delle ‘ndrine. “Antonio Rossi 65” si vanta a un certo punto di averne già portati una settantina in Germania. E con i loro complici, i boss continuano a comprare locali nelle città che definiscono “vergini”: Lipsia, Weimar, Jena, Dresda, Eisenach, Arnstadt. “Abbiamo bisogno di strutture”, spiega “Rossi”. E a un certo Bastiano rivela che “questa non è proprietà tua o mia. Questa è una società, una casa, una cosa sacra”.
Ma nel 2002, all’improvviso, la Procura generale di Jena ordina di chiudere l’indagine. Gli inquirenti sono basiti: non hanno ancora raccolto abbastanza prove per un processo, ma abbastanza indizi per andare avanti. I giudici di Jena sono irremovibili. L’indagine finisce in soffitta.
Dopo, secondo altre indagini, i fratelli Rossi hanno continuato a investire. A Baden-Baden, a Monaco, a Kassel. Si sono espansi in Portgallo, hanno comprato sette ristoranti a Roma. “Antonio Rossi 65” è tornato nel frattempo a San Luca: stando alla polizia amministrerebbe le finanze del clan Pelle-Gambazza. Suo cugino “Antonio Rossi 68” è rimasto a Erfurt. Ufficialmente non possiede più alcun ristorante. Ma secondo gli inquirenti citati dalla F.A.Z. e MDR sarebbe ormai un boss della nuova cupola tedesca, “Crimine in Germania”. Tonia Mastrobuoni, La Repubblica