L’ex moglie di Vicenzo Bertè ha raccontato di quando fu appiccato il rogo devastante, il 6 settembre 2017. Per oltre una settimana la città fu avvolta da una nube nera. La Procura di Pavia: sistema criminale
«Il rogo è stato acceso con un accendino Bic». Era il 6 settembre del 2017. Circa 17 mila metri cubi di rifiuti, autorizzati per circa la metà, vennero bruciati per «smaltirli» a costo zero, in modo da ottenere il rimborso assicurativo. Tra i rifiuti anche lastre di eternit. Dopo oltre 4 anni, giovedì i mandati d’arresto per traffico illecito di rifiuti e incendio doloso, oltre a crimini di natura finanziaria: utilizzo ed emissione di fatture false, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio.
La Guardia di Finanza di Pavia, in collaborazione coi carabinieri forestali e polizia giudiziaria, ha condotto in carcere Vincenzo Bertè e Andrea Carlo Biani, entrambi di 54 anni. Bertè era amministratore unico della ditta Eredi Bertè Antonino, «co-amministratore di fatto della Eredi Bertè Ecology» e co-gestore dell’impianto di stoccaggio rifiuti. Biani, invece, amministratore unico della Eredi Bertè Ecology, che affittava l’impianto a Bertè. Sequestrati 1,8 milioni di euro tra denaro e proprietà, oltre al compendio aziendale «Sviluppo Industriale» ascrivibile a Bertè. Ai domiciliari Vincenzo Ascrizzi, ritenuto responsabile delle attività di riciclaggio di denaro.
Tutti a Mortara ricordano ancora l’incendio, durato più di una settimana, che avvolse la città con una nube nera e obbligò i residenti di una vasta zona a tenere chiuse le finestre per la diossina nell’aria. Arpa Lombardia intervenne subito, stabilendo che «non potesse essere un incendio casuale». L’indagine partì da lì, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano coi sostituti procuratori Silvia Bonardi e Paolo Mazza, quest’ultimo della Procura di Pavia. Intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno fatto emergere «un sistema criminale di traffico illecito di rifiuti». Accumulazioni senza criterio né controllo e tentativi di far sparire tutto all’estero.
Nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari, Guido Salvini del tribunale di Milano, spunta la testimonianza della ex moglie di Vincenzo Bertè: «Il giorno dell’incendio Vincenzo mi svegliò e mi disse, “l’ho fatto”». Così si legge nelle carte. Per la donna «la conferma che fosse stato lui ad appiccare materialmente l’incendio arrivò quando, dopo che fu dimesso dall’ospedale di Mede, mi consegnò un accendino Bic che ancora conservo, dicendomi che era quello che aveva utilizzato. Lo scopo dell’incendio — prosegue la testimonianza — era anche di ottenere il rimborso dall’assicurazione. Già nel luglio 2017 l’Arpa di Pavia aveva concordato un’ispezione, che mio marito mi fece rimandare telefonicamente con la giustificazione di un ricovero, a mio parere non necessario». L’ex moglie fu anche minacciata di morte da un uomo coinvolto nell’indagine «Infinito» come componente di una locale di ‘ndrangheta. Lei aveva poi sporto denuncia.
Al rogo del 2017 ne era seguito un altro di minore entità, nel giugno successivo. Tutto il materiale bruciato è ancora a cielo aperto. «Sperando che l’iter giudiziario faccia il suo corso — dice Marco Facchinotti, sindaco di Mortara — si deve chiarire a chi spetti la bonifica. Il Comune non ne ha le forze». Davide Maniaci, Corriere.it