Al quartiere degli Olmi, alla periferia del capoluogo lombardo, molti nomi pesanti della mafia del Nord Italia per i funerali di Emilio Sarcina, l’uomo della ‘ndrangheta che tentò il «colpo di stato» per scalare le gerarchie criminali
La scalinata della Madonna della fede accoglie il feretro portato a spalle, coperta di petali di rosa azzurri. La parrocchia è piena, molti restano sul sagrato all’ombra dei grossi alberi che concedono un filo di respiro sotto al sole delle tre di pomeriggio. Martedì 20 luglio, il quartiere degli Olmi, isola estrema della periferia ovest, si ferma per l’ultimo saluto «a un pilastro della nostra zona», come gli amici scrivono sulla pagina Facebook degli Olmi: «Compare Emilio, vola alto come hai sempre fatto». Lo scrivono così «compare Emilio» anche su uno striscione dove si dà l’addio al «vecchio cuore nerazzurro». E sono azzurri anche i palloncini che, all’uscita dalla chiesa dopo le note di «Io vagabondo», lo salutano verso il cielo. Gli abbracci ai parenti, i baci e le lacrime di chi è venuto da lontano. Da molto lontano. Ci sono molti boss e nomi pesanti della mafia nel Nord Italia e di mezza Calabria.
Lo chiamavano così, «compare Emilio» anche nelle intercettazioni della maxi inchiesta «Infinito» sulla ‘ndrangheta in Lombardia. In quell’indagine Pasquale Emilio Sarcina, 67 anni è stato condannato a 9 anni di carcere perché considerato esponente del «Locale di Milano», che tradotto significa la «cellula» di uomini della mafia attiva nel capoluogo lombardo. Non un semplice affiliato, perché secondo gli investigatori della Direzione distrettuale antimafia, «compare Emilio» stava scalando posizioni all’interno dei vertici delle cosche milanesi. Stava facendo «il colpo di stato», come racconta il boss Francesco Panetta. Cercava di estromettere l’allora capolocale di Milano, Cosimo Barranca, boss con una lunga carriera ai vertici della «Lombardia». Nel linguaggio arcaico della ‘ndrangheta, si chiama «banco nuovo»: ribaltare le cariche, creare un nuovo vertice. «Se mette mano a Milano, fanno come un colpo di stato lì poi. Fanno il banco nuovo, vedi se lo saprà Cosimo. Sono in minoranza».
La mossa di compare Emilio scuote gli equilibri anche perché una deriva «autonomista» aveva già fatto saltare la testa dell’amministratore delegato di tutte le cosche lombarde, quel Carmelo Novella freddato nel 2008 a San Vittore Olona. Materia pericolosa, specie per uno come Sarcina che ha la colpa di non vantare sangue calabrese. È per questo che Sarcina, quando la sua scalata inizia a dare fastidio ai granitici equilibri delle cosche, per i suoi avversari diventa «il pugliese», in modo spregiativo: «Il “pugliese” prima c’e lo siamo raccolto e ora diciamo che è pugliese — riflette intercettato Panetta —, prima lo abbiamo portato, gli abbiamo dato, gli abbiamo fatto e ora diciamo che è pugliese? È pugliese ma ora è con noi, c’è poco da parlare…». Le sagge parole del capolocale di Cormano hanno una spiegazione banale: «Sarcina vanta importanti legami con esponenti di spicco della ‘ndrangheta calabrese, sia in Calabria, sia in Liguria. Il suo legame con la Calabria è stato comunque rafforzato dopo il matrimonio della figlia con Maurizio Panetta, la cui famiglia è originaria di Grotteria».
Il nome di Emilio Sarcina è di quelli pesanti nella geografia della malavita milanese. Nato a Milano, di origini pugliesi, per anni ha mantenuto la residenza a Lido delle Nazioni di Comacchio, anche se di fatto ha sempre abitato in via dei Salici al quartiere degli Olmi. Un luogo simbolo del «locale» di Milano: qui avvenivano molti degli incontri tra gli affiliati, gli «aperitivi del sabato» che all’epoca si tenevano tra il bar di Giuseppe Barranca in via Bagarotti e il circolo Arci degli Olmi, vera base operativa. Sarcina è stato, insieme a Leonardo Chiarella (mastro generale della Lombardia), il rappresentante dei milanesi al famoso summit al circolo Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano del 31 ottobre 2009 dove la ‘ndrangheta scelse i nuovi rappresentanti delle cosche al Nord affidandosi a Pasqualino Zappia. In quelle immagini che fecero il giro del mondo, con i boss in piedi intorno a una tavola a ferro di cavallo che brindano alla «buonanima» di Novella, Sarcina è stato identificato dai carabinieri con il numero «5». Nei filmati lo si vede con Vincenzo Mandalari mentre alle 19.20 copre i vetri del centro con dei poster per impedire ad occhi indiscreti di guardare attraverso le vetrine. Compare Emilio rappresenta le istanze del capolocale Barranca, a cui poi cercherà di fare le scarpe.
Le indagini del 2010 dicono che «il pugliese» ha ricevuto la pesante dote del «padrino» in una cerimonia a Settimo Milanese. Partecipa anche ad altri summit: il 22 maggio 2008 al ristorante «il Peperoncino» di via Parenzo lungo il Naviglio Grande; il 18 ottobre e il 29 novembre 2007 alla «Cadrega» di Limito; il 2 febbraio 2008 alla trattoria «da Marina» di San Pietro all’Olmo. La storia del «locale» di Milano, composto per lo più da calabresi originari di Caulonia e Siderno, è turbolenta. Sarcina sfrutta i «mal di pancia» degli affiliati per lanciare la sua scalata. La situazione diventa effervescente e i vertici delle cosche invitano compare Emilio a ricomporre i dissapori «in famiglia»: «Io invece a Emilio senza mangiare e senza bere, quando mi ha parlato male di te — racconta Mandalari —, l’ho fermato, gli ho detto: davanti a me non si dicono parole fuori posto di Cosimo (Barranca). Tu mi hai chiesto un consiglio, io ti sto dicendo: chiamalo, discutici, però non iniziamo a dire Cosimo è una merda… Altrimenti io mi alzo e me ne vado».
Nel 2013 viene coinvolto nell’operazione «Zefiro» della procura di Venezia per un traffico di droga. Il pm chiederà 12 anni ma la vicenda giudiziaria termina per Sarcina, difeso dall’avvocato Amedeo Rizza, con una doppia assoluzione certificata dalla Cassazione. Cesare Giuzzi, Corriere.it