Al centro dell’inchiesta contro la ndrangheta in Lombardia le figure di Vincenzo Marchio e Cosimo Vallelonga, storico affiliato di “Peppe” Mazzaferro
È ormai «dato certificato e storicamente acquisito, e che ha ricevuto un’ulteriore ed ennesima conferma nella presente indagine, il diffuso radicamento della ‘ndrangheta nel territorio lombardo. Si è cioè superata la logica dell’infiltrazione (…) e ad essa è subentrato il radicamento nel territorio, ove la presenza della ‘ndrangheta è stabile e costante».
All’esito delle richieste avanzate dalla Dda di Milano nell’ambito dell’inchiesta “Cardine-Metal Money”, il gip Alessandra Clemente, su richiesta dei pm Paola Biondolillo e Adriano Scudieri, ha convalidato 18 richieste di misure cautelari (10 in carcere 8 ai domiciliari) per altrettanti soggetti accusati oltre che di associazione a delinquere di stampo mafioso, anche di una serie di reati quali traffico di rifiuti, autoriciclaggio, usura, estorsione e frode fiscale.
La decisione arriva a fronte di un’analisi incrociata di nomi e dinamiche ricorrenti nel tempo, che definiscono i connotati dell’organizzazione operante sul suolo lombardo. «Da non dimenticare – si legge nell’atto – i costanti rapporti dei sodalizi di ‘ndrangheta in Lombardia con la Calabria». Un legame radicato, come già dimostrato in precedenti operazioni e processi come “Crimine” o “Infinito”, grazie al “capitale sociale dell’associazione”, ovvero «la diponibilità del mondo imprenditoriale, politico e delle pubbliche amministrazioni ad entrare in rapporti di reciproca convenienza con il sodalizio mafioso». Non a caso, viene ripresa la storica affermazione resa dal collaboratore di giustizia Antonino Belnome il 3 dicembre 2010 secondo cui «il Nord non conta niente senza la Calabria».
Emerge così un rapporto diretto tra alcuni degli odierni indagati con «esponenti delle “famiglie” di ‘ndrangheta calabresi, attestati oltre che dai viaggi effettuati da Vincenzo Marchio in Calabria alla ricerca di canali di “finanziamento”» anche da alcuni passaggi significativi, come l’“ambasciata mafiosa” affidata a quest’ultimo da Cosimo Vallelonga, boss della ramificazione lecchese, per essere recapitata a Giorgio Demasi, noto ‘ndranghetista conosciuto anche con lo pseudonimo di “U Mungianisi”, condannato con sentenza irrevocabile del gup di Reggio Calabria nel marzo 2012 e riconosciuto quale «capo locale di Gioiosa Ionica e membro della così detta “Provincia” o “Crimine”».
«Tu vai lì (a Gioiosa Superiore, in un negozio di abiti da sposa di proprietà dei Demasi, ndr) e gli dici mi manda compare Cosimo».
Il quartier generale nel negozio “Arredomania”
Figure chiave dell’inchiesta sono Cosimo Vallelonga e appunto Vincenzo Marchio, figlio di Pierino Marchio. Il primo vanta una condanna per 416-bis del codice penale passata in giudicato ed è considerato «capo, promotore e organizzatore» dell’associazione operante in Lombardia. La condanna gli era stata inflitta nell’ambito del processo “Infinito” anche se già prima, ne “I fiori della notte di San Vito”, negli anni 90, era stato riconosciuto tra gli affiliati (con la dote di “Vangelo”) di “Peppe” Mazzaferro, conosciuto come vero e proprio creatore della struttura gerarchica sulla quale si regge tutt’oggi la ‘ndrangheta lombarda, antecedente storico de “La Lombardia”, ovvero la «camera di controllo sovraordinata alle locali».
Quello che colpisce gli inquirenti rispetto alla figura di Vallelonga è la capacità di aver mantenuto intatti i suoi rapporti sul territorio nonostante il periodo di carcerazione, tanto da «rivitalizzare il sodalizio mafioso, non solo attraverso autonome condotte criminali ma anche ricevendo presso il suo ufficio all’interno del negozio “Arredomania” di La Valletta Brianza altri esponenti della ‘ndrangheta, per dirimere controversie, concordare nuove strategie ed eludere i controlli dell’autorità giudiziaria».
Vincenzo Marchio è figura molto vicina a Vallelonga. Il padre sconta una condanna in “Oversize” quale affiliato alla “locale” di Lecco, facente capo alla “famiglia Coco-Trovato”, egemone in quel territorio fin dagli anni 60 e legata alla cosca De Stefano di Reggio Calabria. La strada del giovane Marchio si intreccia a quella di Cosimo Vallelonga anche grazie al traffico di rifiuti. Anche per questo, nell’odierna indagine, a Vincenzo Marchio viene contestato l’aver «organizzato e coordinato le attività illecite di traffico e fatturazione per operazioni inesistenti tenendo i contatti con i fornitori da cui acquistare “in nero” i rifiuti e le imprese clienti a cui vendere la merce, risolvendo le problematiche che vengono a crearsi».
Il traffico di rifiuti e il sistema delle società
Snodo cruciale di “Cardine-Metal Money” si ha nel maggio 2017. La Guardia di finanza e la Questura di Lecco individuano una serie di anomale e sospette movimentazioni di ingenti somme di denaro contante operate da pregiudicati di origine calabrese tra i quali spicca Luciano Mannarino, noto agli investigatori come «vicino alla famiglia Marchio».
Ma quello che viene descritto come «un pregiudicato di scarso rilievo», è solo la punta dell’iceberg. Le movimentazioni di denaro operate da Mannarino permettono infatti di risalire al pluripregiudicato imprenditore lecchese Oscar Sozzi e alle società a lui riconducibili, operanti nel settore di materiali ferrosi. Questi aveva dato vita ad una nuova società, la “Oggionese Metalli Srl” tra i cui dipendenti spiccava anche Vincenzo Marchio. Secondo la Guardia di finanza, però, «quest’ultimo risultava il reale titolare».
Il 18 giugno 2015, Sozzi viene arrestato e proprio in quel periodo compare sulla scena Cosimo Vallelonga che si accorda con Marchio per proseguire l’attività. Documentano gli inquirenti che «le somme di denaro movimentate sui conti correnti postali intestati a prestanome, quali Mannarino, erano poi prelevate e materialmente consegnare e Marchio e Vallelonga».
Il sistema era imperniato su una serie di società che, «sebbene del tutto prive di consistenza operativa e patrimoniale, avevano movimentato ingenti quantitativi di rifiuti e ingentissime somme di denaro per un ammontare complessivo, nel triennio dal 2015 al 2018 di circa 60 milioni di euro».
Tutte erano intestate a prestanome benché riconducibili ai due personaggi di riferimento. Alcune agivano come “cartiere” che attraverso una falsa documentazione contabile «fornivano a numerose aziende “utilizzatrici”, la copertura contabile per la cessione di carichi di prodotto o di provenienza furtiva» così evadendo anche le imposte.
L’attività investigativa avrà due significativi impulsi nel 2018. Il 7 febbraio Vallelonga e Marchio vengono denunciati per l’estorsione ai danni di Ramon Rotini che asserisce di essere «un consulente aziendale» e che in seguito alla “perdita” di 500mila euro affidatigli dai due, «era stato minacciato di morte se non avesse ottemperato alla loro richiesta di restituzione di 700mila euro».
Il 2 maggio viene invece effettuato il sequestro di un camion proveniente da Bergamo, contenente oltre 17 tonnellate di rame avente emissioni di radioattività, episodio che «confermava le modalità operative illecite nella gestione dei rifiuti, ma ne attestava anche la diretta riconducibilità ai due, quali titolari della “All Metal”» intestata a Fabrizio Motta, divenuto prestanome a fronte di un debito di circa 200mila euro contratto con Vallelonga.
Nuovi soci per il «compare Cosimo»
Nel periodo successivo al sequestro, Vincenzo Marchio si defila dal commercio di metalli sentendo il fiato sul collo degli inquirenti che nel frattempo avevano attenzionato altre ditte intestate rispettivamente a Vincenzo Pace e appunto Luciano Mannarino. Marchio decide così di dare vita a una nuova società operante nel settore della compravendita di autovetture, la G.C. Auto Srls, avente come prestanome Claudio Gentile.
Nel frattempo, il 14 maggio 2018, nel “quartier generale” di La Valletta Brianza, avviene un importante incontro tra Cosimo Vallelonga e Angelo Sirianni, «esponente di spicco della ‘ndrangheta», già condannato per 416-bis nell’ambito dell’operazione “Oversize” – così come Pierino Marchio – quale componente della “maggiore” di Calolziocorte, «con compiti di direzione degli affiliati della famiglia Coco-Trovato». All’incontro, Sirianni si accompagna a due soggetti: Roberto Bonacina e Carmelo Tinè, pluripregiuricato rimasto coinvolto in un’indagine della Dda di Torino del 2010. I due erano soci di Marco Balducci, con precedenti per reati in materia di stupefacenti e titolare della “Brema Srl”, società attiva nel settore dei rottami e rifiuti metallici (e provvista di autorizzazione per qualsiasi tipo di rifiuto). Il meeting del 14 maggio era stato inoltre anticipato da una visita di Sirianni a Vallelonga che con tutta probabilità serviva per predisporre tutte le cautele necessarie in vista del confronto.
Scrive la procura che «si trattava di un momento particolarmente delicato nella vita dell’associazione» dove vi era «la necessità di individuare tempestivamente nuove strutture societarie e nuovi soggetti con cui proseguire e perpetrare il sistema di frode».
Sirianni è garante tra «il grandissimo “Compare” Cosimo» e i due accompagnatori. Un’apposizione, quella riservata a Vallelonga, non casuale, in quanto «riferita alla sua caratura criminale e alla posizione rivestita all’interno della ‘ndrangheta».
La riunione verteva sulle future attività imprenditoriali e su possibili intese tra i presenti. Emblematica la frase utilizzata da Tinè in una successiva riunione, secondo cui «gli affari più redditizi erano quelli che riguardavano “cocaina, armi e spazzatura” benché il traffico dei metalli nascondesse non pochi rischi a fronte di una serie di arresti avvenuti in quel periodo. A questo punto Tinè specifica come interesse suo e di Bonacina fosse quello di «fare carta», ovvero «trarre profitti trasformando la carta in contanti», riferimento chiaro al fatto che dette società dovessero fungere da specchietto per le allodole, così come quelle in mano a Vallelonga, capace di movimentare tali somme di denaro proprio in virtù del sistema cresciuto negli anni e ramificato grazie al «capitale sociale» a sua disposizione. Corriere della Calabria