Già condannato per associazione mafiosa, Cosimo Vallelonga gestiva i suoi affari dal negozio Arredomania. Affiliato a Mariano Comense, aveva rapporti con esponenti di spicco del locale di Calolzio
Capo, promotore e organizzatore dell’attività criminale legata alla corposa e minuziosa attività di indagine Metal Money. Così viene dipinto, nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza firmata dal giudice delle udienze preliminari Alessandra Clemente, Cosimo Vallelonga, 72 anni, nato a Mongiana (Catanzaro) il 30 settembre del 1948, sposato, una figlia, residente a La Valletta Brianza, considerato la mente criminale di una compagine mafiosa imprenditoriale, sgominata con i 18 (o meglio 17 visto che una persona risulta ancora irreperibile) arresti effettuati, all’alba di ieri, martedì, tra la Provincia di Lecco e quella di Bergamo.
Un nome, il suo, non nuovo alle cronache visto che il settantaduenne risulta condannato con sentenze passate in giudicato per associazione mafiosa nell’ambito di due maxi inchieste, la notte dei Fiori di San Vito e Infinito.
Una figura di spicco della ‘ndrangheta
La nuova indagine ha portato alla ribalta come Vallelonga non abbia mai smesso di essere, nonostante gli anni di carcere e le misure di sorveglianza speciale a cui è stato per diverso tempo sottoposto, un punto di riferimento nel panorama della ‘ndrangheta, mantenendo rapporti sia con esponenti di rilievo della ‘ndragheta calabrese ricevendo e inviando ambasciate, sia con quelli operanti in Lombardia come Giorgio Novembre e il calolziese Pierino Marchio, condannato in Oversize e padre di Vincenzo, finito in manette insieme a Vallegonga ieri.
Sottoposto, una volta uscito dal carcere, a limitazioni alla libertà personali tra cui la sorveglianza speciale e la libertà vigilata legate alle precedenti condanne, il calabrese aveva di fatto trasformato il locale di arredamento Arredomania, situato in via Statale a Perego nello stesso stabile che ne ospita la residenza, nel quartier generale dell’organizzazione mafiosa che lo vedeva all’apice.
Vincenzo Marchio, “come un figlio”
Qui, pensando di non essere sottoposto a intercettazioni ambientali, parlava in maniera diretta ed esplicita con i suoi sodali degli affari sporchi da effettuare, impartiva ordini e dirimeva controversie anche con terze persone.
Suo braccio operativo al punto di definirlo, in una confidenza rilasciata ad Angelo Sirianni (a sua volta condannato in Oversize) un figlio, Vincenzo Marchio che lo teneva informato quotidianamente sull’andamento delle attività, lecite e illecite.
Le società di comodo
Sua la “regia” anche nella nascita di diverse società di comodo, attribuite a prestanomi, come la A.M. Metalli, M.L. Metalli, Metal Point di Pace Vincenzo, Copper Point, Alla Metal, Torinese Metalli e Monti Danilo srl, attive nel settore commerciale dei rifiuti, e intestate a prestanome che servivano per effettuare il traffico illecito di rifiuti e le false fatturazioni oltre che per occultare gli ingenti proventi illeciti conseguiti, reinvestiti anche in altri settori o prestati a imprenditori a tassi usurai.
E sue anche le indicazioni sui fornitori da cui acquistare in nero i rifiuti e le imprese clienti a cui rivendere la merce e tutte le decisioni e le strategie imprenditoriali, tanto che nell’ordinanza con cui ne è stato definita la custodia cautelare in carcere per diversi reati, tra cui il 416 bis (ovvero l’associazione mafiosa), Vallelonga viene dipinto alla guida di una mafia imprenditoriale, specializzata nel prestito di denaro a usura e recupero crediti con metodi estorsivi.
Pronta la “borsa dei ferri”
Nel novero dei reati contestati, spicca anche quello di usura, con estorsioni anche mediante l’uso di armi, aggressioni e minacce. In un’intercettazione ambientale, mentre parlava con un imprenditore a cui aveva prestato soldi, Vallelonga si lasciava andare a dire di “aver pronta la borsa dei ferri e che non aveva problemi a tirarla fuori” qualora non avesse restituito il denaro.
E anche, giusto per farsi restituire soldi a trance di 30mila euro alla volta da uomini ormai assoggettati e spaventati dai metodi estorsivi utilizzati, che “era sua intenzione trovare una soluzione pacifica” al rientro dei soldi concludendo di “non voler più fare galera, ma se serve la faccio”.
Le condanne
Indagato, agli inizi anni Novanta, nell’ambito dell’operazione “I fiori della notte di San Vito” perché ritenuto affiliato con la dote di Vangelo al locale, riconducibile alla cosca Mazzaferro, attiva a Lumezzane e Fino Mornasco e poi condannato a 4 anni con sentenza definitiva del 1999 per il reato di associazione mafiosa, Vallelonga riceve una seconda e pesante condanna a 12 anni di carcere, definitiva nel 2015, nell’ambito dell’operazione Tenacia poi confluita nell’indagine Crimine – Infinito, riguardante il crac della Perego Strade.
Gli investigatori ritengono che la sua principale attività criminale sia stata, oggi come allora, quella del prestito del denaro a usura con conseguente attività di recupero crediti commessa con modalità mafiosa e che abbia iniziato a occuparsi dell’attività dei rifiuti dopo i problemi registrati da Vincenzo Marchio con la società Oggionese Metalli.
Affiliato del locale di Mariano Comense e Cabiate, cosca Muscatello, Vallelonga avrebbe svolto anche un ruolo chiave di mediazione nell’ambito della “Faida dei boschi”, costata la vita al cugino Damiano Vallelunga, capo dell’omonima cosa di Serra San Bruno detti Viperai, ucciso a Riace nel 2009 in un regolamento tra famiglie.
I legami con Calolzio
Sottoposto a provvedimenti di sorveglianza speciale inflitti per la sua appartenenza alla mafia calabrese, viene ritenuto un punto di riferimento imprescindibile del sodalizio mafioso radicato in Lombardia.
In particolar modo gli inquirenti si sono soffermati sui rapporto di vicinanza con alcuni componenti di spicco del locale di Calolzio, presente già dal 1975. Tra questi, oltre ad Angelo Sirianni, volto noto di Oversize, Pierino Marchio, detto il Vangelo, padre di Vincenzo, che, rivolgendosi a Vallelonga con il nome di “Compare Cosimo”, ne chiede l’intervento non solo per risolvere un problema con un imprenditore calabrese in un cantiere a Seregno, ma anche per risolvere un dissidio tra i nipoti e un altro calabrese operante in Brianza. Un legame che le ultime indagini hanno visto rafforzato con l’entrata, nel giro di usura, estorsioni, intestazioni fittizie e false fatturazioni, anche di nuovi volti. Lecco Notizie