Dopo l’inchiesta di Venezia analoga operazione della procura antimafia di Catania Il meccanismo è sempre lo stesso. Gli investigatori e l’ipotesi di un’unica regia
La mafia come le imprese veneziane che facevano soldi evadendo l’Iva nel commercio di carburanti. Due giorni dopo la conclusione delle indagini della Guardia di Finanza di San Donà, ieri i sequestri di beni della Dda di Catania anche in Veneto al clan Scalisi di Cosa Nostra. Beni provenienti dal traffico illecito di carburanti. Da tempo chi si occupa di combattere la criminalità organizzata assiste all’azione di clan che hanno messo radici nell’est Europa e fanno affari nell’import-export verso l’Italia di derivati del petrolio con le stesse modalità fraudolenti di criminalità comune e imprenditori che truffano lo Stato e danneggiano il mercato. Gli investigatori, in particolare della Guardia di Finanza, non hanno ancora capito se dietro al fenomeno ci sia un’unica regia. Sta di fatto che modus operandi, prodotti trattati e fonti di approvvigionamento sono sempre gli stessi: fatture false generate da aziende cartiera, carburante come bene da commerciare destinato alle “pompe bianche” e raffinerie con sede nell’est Europa.
Due giorni fa la Finanza ha concluso le indagini indagando dieci persone, tra queste diverse teste di legno italiane e albanesi e alcuni noti imprenditori del settore carburanti residenti nel Sandonatese. Devono rispondere, a vario titolo, di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali dei redditi e dell’Iva, presentazione di dichiarazioni fiscali infedeli, omesso versamento dell’Iva dovuta, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e occultamento di scritture contabili finalizzato ad impedire la ricostruzione della movimentazione dei prodotti petroliferi commercializzati. Durante le indagini durate oltre un anno sono stati sequestrate quattro autocisterne cariche, ciascuna, di 30mila litri di carburante. Sequestri compiuti per verificare se realmente il traffico di carburante destinato alle “pompe bianche” aveva le caratteristiche fraudolenti che emergevano dall’analisi documentale di quanto trovato durante gli accessi nelle varie aziende. Alla fine sono state documentate fatture false per 113 milioni di euro. Queste vogliono dire: un’evasione da 23 milioni di euro, a cui si sommano altri 20 milioni di IVA non versata e ben 25 milioni di euro di proventi illeciti. Le fatture false servivano per non versare l’Iva e quindi rendere il carburante alla pompa più conveniente di quello immesso dai fornitori che l’imposta la versavano. Per ogni carico da 30mila litri acquistato in questo circuito fraudolento il benzinaio risparmiava 700 euro rispetto al prezzo di mercato.
Ieri un’indagine parallela ha portato al sequestro di beni per 12 milioni di euro. Anche in questo caso in azione la Guardia di Finanza in sette province di sei regioni e in Albania, con la collaborazione di Eurojust, nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catania sul clan Scalisi, appartenente alla “famiglia” Laudani. I provvedimenti patrimoniali in materia di antimafia, eseguiti da militari delle Fiamme gialle, riguardano quote societarie e compendi aziendali del settore dei trasporti e della commercializzazione dei prodotti petroliferi riconducibili a imprenditori ritenuti legati alla cosca. I sequestri sono avvenuti a Catania, Roma, Milano, Novara, Udine, Varese e Verona, oltre che in Bulgaria. Interessate dai sequestri anche l’Immobiliare International S.r.l.s. Con aede a Verona; e la Petrol Group S.r.l. di Cologno Monzese. Ed è proprio questa ditta che riporta all’import di carburanti dall’est Europa e al traffico coperto da fatture false. Questa stessa azienda si approvvigionava in Polonia, Croazia e Slovenia. Nelle stesse raffinerie già emerse in altre indagini. Mentre la DDA di Catania è riuscita a intaccare parte della patrimonio messo assieme in maniera fraudolenta dal clan, a Venezia, tranne i carichi di carburante bloccati a suo tempo, non è stato sequestrato altro. Carlo Mion, La Nuova Venezia
Udine, Un capannone sequestrato alla mafia
L’edificio si trova a Basaldella in un’area (non ancora operativa) destinata alla distribuzione di prodotti petroliferi
È coinvolta anche la provincia di Udine nella maxi-inchiesta antimafia della Guardia di finanza di Catania che ha portato a sequestri per 12 milioni di euro relativi a beni e aziende di imprenditori legati al clan Scalisi, gruppo della famiglia mafiosa Laudani. … In Friuli i militari hanno provveduto al sequestro di un capannone e dell’area adiacente a Basaldella, frazione di Campoformido, all’altezza del civico 97 di via della Roggia.
Le Fiamme gialle del comando provinciale etneo e dello Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) hanno notificato due provvedimenti di sequestro patrimoniale in materia antimafia (uno emesso dal gip presso il tribunale di Catania e l’altro d’urgenza dalla Procura) relativi a quote societarie e compendi aziendali del settore dei trasporti e della commercializzazione dei prodotti petroliferi riconducibili a imprenditori ritenuti legati alla cosca. L’attività, denominata “Follow the money II” e coordinata dalla Dda di Catania, è partita dai documenti acquisiti durante le perquisizioni svolte dai militari lo scorso 10 febbraio. Quei controlli, tra l’altro, avevano portato al sequestro di oltre 1 milione e 900 mila euro in contanti.
Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza – ha operato il Nucleo di polizia economico finanziaria di Catania e in particolare il Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) – a Basaldella la società che aveva da poco acquistato la proprietà di via della Roggia sarebbe intestata a prestanome ricondotti a persone che erano state arrestate a febbraio per concorso esterno in associazione mafiosa. Per questo è scattato il sequestro preventivo. L’area non era ancora operativa ma, stando agli elementi emersi durante l’indagine, avrebbe dovuto essere utilizzata nel settore della distribuzione di prodotti petroliferi.
In generale, i prestanome scelti dal clan Scalisi per riciclare i soldi sporchi provenienti dalle attività illecite erano tutti giovanissimi, poco più che ventenni, come emerge dall’inchiesta della Finanza.
A Sofia, in Bulgaria, grazie alla collaborazione di Eurojust (l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea), come ha sottolineato la Dda di Catania, è stato eseguito «il sequestro delle quote e delle disponibilità della società di diritto bulgaro, parimenti riconducibile a due imprenditori catanesi» che, secondo l’accusa, agivano per conto del clan. — Il Messaggero Veneto
’Ndrangheta, perquisizioni nel Varesotto
Società di trasporti e di commercializzazione di prodotti petroliferi nel mirino della Guardia di finanza
Anche nel Varesotto sono in corso da stamane, venerdì 16 aprile, indagini e perquisizioni da parte della Guardia di finanza….
L’indagine, secondo la Dda di Catania, ha fatto luce sul riciclaggio di proventi illeciti dello storico boss Giuseppe Scarvaglieri, del clan Scalisi di Adrano, detenuto di regime di 41 bis, attraverso attività imprenditoriali gestite dal nipote, Salvatore Calcagno, e dagli imprenditori Antonio Siverino e da suo figlio Francesco.
Questi ultimi, a loro volta, utilizzavano diversi prestanome per la costituzione di numerose società operanti sull’intero territorio nazionale.
Il sequestro del Gip ha interessato quattro società: La Nuova Group S.r.l.s. e Express S.r.l.s. con sede a Catania; Immobiliare International S.r.l.s. a Verona; e Petrol Group S.r.l. a Cologno Monzese (Mi). Convalidato il sequestro d’urgenza nei confronti di AB Logistica S.r.l.s. e Prima Logisti sede a Catania e Sive International Ltd a Sofia (Bulgaria). la Prealpina