La prima sentenza: il boss Donadio finanziò l’ex sindaco. E Il poliziotto Pasqual era a disposizione»
L’ex sindaco e vicesindaco di Eraclea Graziano Teso? «E’ stato eletto con il sostegno del gruppo mafioso assumendo la carica pubblica servendosi della quale aveva restituito favori illeciti». L’avvocato Annamaria Marin?… «la sua condotta fuoriesce clamorosamente dal perimetro dell’attività di difesa tecnica». E quanto al poliziotto Moreno Pasqual, «il suo rapporto di stretta amicizia e frequentazione con Donadio si è sostanziato in una “messa a disposizione” del sodalizio». Sono alcuni dei passaggi della maxi-sentenza (768 pagine complessive) del gup Michela Rizzi nel primo troncone con il rito abbreviato del processo al clan Donadio, concluso l’11 novembre scorso, con 24 condanne su 25 imputati (uno «salvato» dalla prescrizione) e pene per 133 anni e 7 mesi.
I «colletti bianchi»
…Teso è stato condannato a 3 anni e 3 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, lo stesso reato contestato a Pasqual (per lui cinque anni); Marin era invece accusata di favoreggiamento con l’aggravante mafiosa e ha avuto una condanna a 8 mesi. Quanto all’ex sindaco, il gup non ha avuto dubbi sul suo legame con Donadio, anche tramite l’imprenditore e amico comune Graziano Poles: ricorda il sostegno del boss alle elezioni del 2006 (10 mila euro e voti) e «le aspettative di Poles e Donadio dopo la rielezione per un intervento a loro favore del Teso». Un esempio è stato l’aiuto dato dall’allora sindaco per la vendita dell’hotel Victory, valutato 6 milioni e mezzo di euro: … «L’accordo di Teso con Donadio ha compromesso la trasparenza del suo operato come amministratore pubblico – scrive il giudice – esponendolo anche a possibili ricatti». E anche relativamente all’incendio dell’auto di Adriano Burato subito dopo le elezioni – prosegue – «pur se non vi è prova che vi fosse un previo accordo con l’imputato, è chiaro che veniva colpito un avversario politico del Teso, che ne aveva pubblicamente denunciato i legami con il discusso Donadio». Quanto a Pasqual, è sottolineato che sapeva bene del passato di Donadio e solo per questo «avrebbe dovuto immediatamente recedere ogni rapporto, anche solo in via prudenziale».
L’avvocato di Donadio
Secondo i pm, Marin, storico avvocato di Donadio, lo avrebbe più volte informato di quello che i suoi sodali dicevano in caso di arresto e anche del fatto che fosse stata aperta un’inchiesta per mafia già dal 2009. Il giudice in realtà l’ha condannata solo per un episodio, l’arresto di Rosario Furnari per possesso di armi. «Donadio, secondo un modus operandi caratteristico delle associazioni di stampo mafioso, si è adoperato in prima persona per assicurare al detenuto l’assistenza dell’avvocato Marin», è scritto nella sentenza. E da lei più volte ha ricevuto notizie. Ma anche negli altri tre episodi contestati il giudice riscontra il passaggio di informazioni: ma un caso è prescritto, negli altri due non vennero dato a Donadio direttamente, ma a terze persone – in un caso la moglie di Tommaso Napoletano, nell’altro il secondo «boss» Raffaele Buonanno – e quindi si ritiene che non potesse sapere che questi le avrebbero riferite al capo. Anche se il gup dice che tutta la vicenda abbia avuto «risvolti inquietanti».
La collaborazione
Il giudice si è trovata di fronte molti di coloro che hanno collaborato con la procura e ne ha riconosciuto il contributo. Per esempio Christian Sgnaolin, l’unico sandonatese entrato al vertice della «cupola» e condannato a 5 anni e 10 mesi. «La collaborazione è stata costante e leale», afferma Rizzi. Idem per Vincenzo Vaccaro (due anni e 4 mesi), che a un certo punto ha fatto da «infiltrato», relazionando in tempo reale agli inquirenti: «Una collaborazione ampia e accompagnata dalla assunzione di responsabilità per i fatti commessi». Alberto Zorzi, Corriere.it