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Aemilia 1992, Spuntano sei chiamate del boss Grande Aracri con i servizi segreti

Posted on Novembre 30, 2019Aprile 16, 2021

I tabulati di inizio 1994 verificati dalla Squadra Mobile. Telefonate brevi ma ricorrenti con l’intelligence militare

Sei chiamate, quasi tutte di breve durata secondo i tabulati, sono partite nel giro di due mesi nel 1994 dal telefono del boss della ’ndrangheta cutrese Nicolino Grande Aracri per raggiungere all’altro capo della cornetta un’utenza dei servizi segreti militari del Rud (Raggruppamento unità difesa).

Correva l’anno 1994 e le comunicazioni sono state controllate dagli investigatori della Squadra mobile di Reggio su mandato del pm antimafia Beatrice Ronchi, che ne ha chiesto riscontro ieri durante il processo sui delitti del 1992. Un processo sugli omicidi di ’ndrangheta avvenuti a Reggio e Brescello 27 anni fa, e che sta scavando su una delle pagine più torbide della cronaca giudiziaria di Reggio Emilia.

Soprattutto perché sta mettendo insieme le prove su colpevoli e possibili mandanti degli agguati mortali a Giuseppe Ruggiero e Nicola Vasapollo, vittime della guerra tra i clan per il predominio in Emilia.

I contatti con il Rud vengono elencati in udienza dal capo della Mobile, Guglielmo Battisti, che indica diversi contatti, tra i quali ci sono quelli ricorrenti tra gennaio e febbraio del 1994 con l’ente militare interforze inquadrato nello Stato maggiore del ministero della Difesa, che ha compiti di vigilanza e difesa della logistica delle installazioni preposte ad attività di intelligence. Grande Aracri ascolta, collegato dal carcere di Opera. All’epoca delle chiamate Grande Aracri era un uomo libero e faceva la spola tra la Calabria, il nord Italia e la Germania.

La deposizione di Battisti, subito dopo queste dichiarazioni, è stata interrotta dall’allarme bomba in tribunale, risultato essere un falso allarme, in seguito al quale l’edificio è stato sgomberato.

Poco prima il capo della Mobile aveva elencato gli altri approfondimenti effettuati, tra cui quello sugli 11 colloqui avuti nel carcere di Prato tra il marzo e l’ottobre del 1992 tra il vecchio boss Antonio Dragone (ucciso nel 2004) e l’imputato nel procedimento odierno Antonio Lerose.

Incontri che erano stati autorizzati sulla base del presunto rapporto di parentela tra i due, figurando Lerose come nipote di Dragone. Accertamenti della polizia all’anagrafe di Cutro hanno dimostrato però che non era vero.

La difesa di Grande Aracri aveva chiamato a testimoniare anche Domenico Vasapollo, padre della vittima dell’omicidio, che per motivi di salute non può però spostarsi.

Così le parti hanno deciso di acquisire i vecchi verbali di interrogatorio.

Altra vicenda poco chiara riguarda una donna, citata come teste ma che nega di essere quella indicata da Grande Aracri. «Secondo me è lei – dice l’imputato da Opera – questa è un avvocato e io alla sua omonima avevo pagato proprio gli studi in giurisprudenza a Parma». — Enrico Lorenzo Tidona, la gazzetta di Reggio

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